– di Riccardo De Stefano –
Oggi, 8 giugno 2020, cade una ricorrenza importante, o se non importante almeno significativa.
Dieci anni fa infatti su SoundCloud venivano pubblicati “I Pariolini di 18 anni” e “Wes Anderson”, i primi due brani de I Cani. Messi su senza un reale obiettivo, quasi per gioco. Oggi, dieci anni dopo, sono giustamente considerati da tanti – me compreso – il punto di origine di quel movimento che ha portato all’esplosione dell’indie pop, che nel giro di pochi anni ha mangiato tutto il mercato radiofonico.
Il merito di Niccolò Contessa è di aver mostrato una terza via per il pop, mescolando attitudine punk e sonorità lo-fi, oltre a spezzare il meccanismo lirico vigente fino a quel momento.
Nel mio libro “Era Indie. La rivoluzione mancata del nuovo pop italiano” parlo così a proposito dei due brani d’esordio de I Cani.
Non mi ricordo dov’ero l’8 giugno del 2010. Probabilmente impegnato a preparare qualche sciocco e superfluo esame universitario, sguazzando nel mio fuoricorsismo impegnato e cercando di giustificare il mio avere poco più di vent’anni con l’arroganza del “c’è ancora tanto tempo”, soprattutto tanto tempo per sprecarlo.
Non ricordo dov’ero né che facevo, ma sono sicuro di non aver notato su YouTube un video caricato di una canzone italiana di pop elettronico, con l’immagine di un cane fissa sullo schermo. Ma anche avendoci pure zoppicato sopra e, per qualche arcano motivo, mi ci fossi concentrato il tempo necessario affinché la barra rossa del player po- tesse giungere alla fine del suo percorso, senza indugio avrei catalogato come “hipster” il brano, dimenticandolo rapidamente e forse scivolando in qualche video di gatti buffi e tenerelli.
Insomma, non avrei mai e poi mai pensato che qualcosa di apparentemente così innocuo come I pariolini di 18 anni de I Cani avrebbe potuto avere la forza di scardinare la stanca e pigra industria discografica italiana.
[…]
C’è qualcosa nel loro linguaggio che prima non c’era, o forse sì, ma non era ancora definito, messo a fuoco. Sì, Vasco Brondi è profondo e visionario, poetico perfino, ma la sua serietà e il suo cipiglio, perenne- mente in piena vista nelle foto, senza mai tradire un sorriso, sono quanto di più distante possibile dall’anonimato che circonda la band. E poi prima di lui c’erano Manuel Agnelli, Cristiano Godano… nulla di radicalmente nuovo.
I pariolini di 18 anni e Wes Anderson mostrano un mondo completamente diverso da quelle Luci e quelle ombre. C’è un racconto per immagini comprensibili, artefatte ma immediatamente visibili, dai colori pastello e come disegnate su carta.
I Cani costruiscono piccoli quadretti di vita che riescono in qualcosa di inedito: fanno sentire l’ascoltatore parte di qualcosa che riconosce, che sa identificare, senza ricorrere a metafore complesse e immagini decadenti.
Non c’è più il sesso-droga-sporcizia della generazione post grunge, quanto lo sguardo disincantato di un mondo diviso per archetipi, dove ogni personaggio è perfettamente al centro della scena, in silenzio, tra figura intera e primo piano.
Come in un film di Wes Anderson.
Tratto da: Riccardo De Stefano – “Era Indie. La Rivoluzione mancata del nuovo pop italiano”. Arcana, 2019.