– di Sara Fabrizi –
“Illuso, romantico e fesso”. Così si apostrofa Ivan Graziani in Fuoco Sulla Collina. Tre parole per descrivere il suo mood, la sua posizione artistica, umana e politica. Sancendone una sorta di statuto: “sono cantautore, sono rock, non parlo di politica come i miei colleghi”.
O meglio vorrebbe farlo perché i suoi fuochi e le sue battaglie infiammano il rivoluzionario adolescente protagonista della canzone di cui sopra. Ma resta in un’impasse e non vi prende parte, osservandone a distanza i fuochi fatui e i fallimenti. Siamo negli anni 70, pur se agli sgoccioli, dove il privato è pubblico e prima o poi Graziani doveva chiarire la sua posizione, segnare il punto in cui si collocava fra racconti intimisti e quotidiani e dinamiche collettive.
E sceglie di farlo, molto probabilmente, in Agnese Dolce Agnese. Album dove raggiunge l’apice della trilogia avviata con I Lupi, e si diploma Cantautore con la C maiuscola. Già affermato 2 album fa, ma ora finalmente libero di portare avanti la sua formula unica e indipendente dal resto. Le storie di gente normale, il richiamo alle tradizioni popolari, lo scandagliare anche il grottesco e le idiosincrasie italiche, la superstizione della religione, la liberazione sessuale mai pienamente avvenuta, l’amore in fin dei conti sempre angelicato e romantico, perché così piace a noi.
Queste tematiche si dipanano nei 10 episodi di questo disco, sempre in tensione fra ballads e pezzi rock, attestandosi sulla linea mediana di un folk rock eccelso di matrice americana ben riadattato sulla nostra tradizione musicale. Leggende popolari, vita di provincia e retaggi magico-religiosi sono particolarmente forti e pulsanti in Il Piede Di San Raffaele e in Il Prete Di Anghiari.
Il rock risuona forte in Veleno All’Autogrill (echi country rock) e in Doctor Jekyll And Mr Hyde. Taglia La Testa Al Gallo è a mio parere la perla dell’album. È la sintesi perfetta del localismo e del globalismo, un folk rock universale che è insieme saltarello abruzzese e ballate irlandesi. È rievocazione storica mai obsoleta. Un ritmo trascinante, un ritornello che è un mantra. Un menestrello medievale o un folk singer americano, non conta. È un pezzo che ti entra dentro e che ti farà riconoscere Ivan, in mezzo ad altri mille talentuosi.
Agnese è la ballatona del disco. Oggetto di una querelle con Phil Collins per via di un sospetto plagio (A Groovy Kind Of Love), poi risoltasi chiarendo la sua provenienza dal rondò della Sonatina op. 36 n. 5 in Sol maggiore di Muzio Clementi. Brano heartbreaking, mitologico, con un ritornello mandato a memoria da almeno tre generazioni. Dolcezza come non ci fosse un domani. La figura di questa donnina tenera e fragile con cui si sono passati dei giorni di poetico splendore, in bicicletta, sulla sabbia infuocata. Un amore stilnovista e traboccante di desiderio, mai posto sul lato fisico/sensuale ma rimasto prigioniero di “un ricordo che fa male”. I toni tenui, le chitarre che salgono delicatamente e poi tutto si illumina quando entra il piano e il brano esplode in “È uscito un po’ di sole in questo cielo nero, l’inverno cittadino sembra quasi uno straniero”. Questa elegia di un amore solo desiderato rimane uno dei punti più alti della poetica cantautorale italiana.
L’altro brano romantico dell’album è Canzone Per Susy. Racconto di un triangolo amoroso su arrangiamenti tipici sixties e tastiere bellissime. La delicatezza sembra essere il tratto distintivo della scrittura di Ivan qualunque storia racconti. Ce la fa sentire incredibilmente prossima al nostro cuore, e ci fa comprendere e perdonare tutti i vizi dei personaggi. Che si tratti di un bandito, di un ladro, di una donna molto libertina, ne vediamo solo l’essenza dannatamente umana e la bellezza.