– di Sara Fabrizi –
Otto storie di indolenza e inettitudine nella provincia italiana sul finire dei 70s su una base squisitamente rock. Pigro arriva solo un anno dopo i Lupi, l’album che lo fece conoscere al grande pubblico, e già ne segna un’evoluzione decisa con l’abbandono di ogni retaggio prog e il suo prendere totalmente in mano la situazione. Ivan diventa il demiurgo e il promotore di se stesso, pur avvalendosi dei soliti grandi musicisti di scuola battistiana lascia loro sempre meno spazio decisionale e da questo momento in poi ogni suo album sarà esclusivamente un suo prodotto, una sua emanazione.
La figura del cantautore rock, paventata già in Ballata Per Quattro Stagioni, qui diventa una vera istituzione tracciando la strada per molti altri a venire. La sua unicità che lo discosta dai virtuosi e talentuosi gruppi prog, così intellettuali così spesso vuoti di significati, passa sempre di più per quell’aria da menestrello con la fender che tra arpeggi struggenti e riff potenti tratteggia personaggi che vanno a comporre una vera “comedie humaine” per dirla con Balzac. Le otto storie narrate in Pigro passano in rassegna queste figure un po’ buffe, un po’ tenere, nella loro mancata realizzazione, nei loro tentennamenti che li rendono esseri umani prigionieri in un impasse e mai volitivi e finalizzanti. Potrebbe derivarne un ritratto asfittico, invece le scelte linguistiche e testuali e gli arrangiamenti che scandagliano il rock in diverse possibilità conferiscono aria, respiro, vivacità a questi uomini e a queste donne alienati. Nella title track il professorone inetto ed indolente, così paradigmatico di tanti vizi italici, ci strappa sorrisi e una certa voglia di ballare su quella base di rock acustico folkeggiante che ci porta tanto in America.
In Monna Lisa l’improbabile ladro che tenta sfortunatamente di rubare La Gioconda è protagonista di una storia tra il comico ed il grottesco, resa celebre dal basso di Bullen. Al Festival Slow Folk di b-Milano è una vivace stoccata alle band prog dell’epoca solite affollare i festival per dare sfogo a tutti i loro virtuosismi che mal celavano l’assenza di contenuti. Scappo Di Casa è una ballata un po’ cupa ed amara che racconta la storia di un rapporto tossico tra madre e figlio che crea un bamboccione irrisoluto. Sabbia Del Deserto racconta di un artista inquieto e fallito nella solita provincia ingenerosa e ostile. Fango è un blues rock a tinte fosche con una concessione al noir, raccontando di un giovane assassino. Gabriele D’Annunzio è un brano di aggraziato folk rock che fa da cornice a questo contadino semplice e di scarso successo con le donne, che sogna l’amore e il sesso che però sembrano essergli preclusi per via del suo aspetto. Finisce per sposare una donna enorme e sgraziata che lo picchia. E ci fa davvero tenerezza immaginarlo, mentre la melodia di chitarra acustica prima e i fiati dopo ci cullano.
Paolina, infine, si staglia sullo sfondo dei ritratti di donna, capitolo a parte nella poetica di Graziani. Ebbe sempre un’accuratezza, un amore, una dedizione, commoventi nel disegnare le figure femminili delicate, fragili, angelicate e sensuali. Le rese sempre protagoniste di ballad incantevoli. Marta, Paolina, Agnese, sono diventate parte di un immaginario collettivo che ci colpisce al cuore in modo struggente. Paolina è una trentenne che sembra un’adolescente, per le sue indecisioni, le sue paure, il suo procrastinare, in linea con i personaggi “poco integrati” raccontati nell’album, ma resa adorabile dalla scintilla dell’amore che riesce ad evocare. Quando Graziani invoca il suo nome con quel cantato così traboccante di sentimento, quando la chitarra disegna i suoi arpeggi, quando il piano fa salire tutto, ecco in quel momento chiudiamo gli occhi e capiamo che Ivan è il più grande.