– di Angelo Andrea Vegliante –
Viene dalla Puglia, ma è trapiantato in Piemonte. Ama le sue radici, ma ha scritto un ode a Torino. È un giovanissimo rapper (classe 1993), ma conta già due EP e un album di prossima uscita. Sire, all’anagrafe Savino Riontino, sa già cosa vuole fare, e pone tutto se stesso nelle proprie opere. Che lo hanno portato anche a suonare a Casa Sanremo qualche giorno fa. Lo abbiamo contattato per la sua prima apparizione a Exitwell.
Sire, partiamo dalla tua recente apparizione a Casa Sanremo: com’è andata? Come hai vissuto questa esperienza?
Casa Sanremo è stata un’esperienza di quelle che ricorderò per molti anni. Innanzitutto suonare al Palafiori di Sanremo, durante la settimana del Festival, è un esperienza che vale la pena vivere. E poi arrivare sul podio accanto a musicisti più che meritevoli non ha prezzo.
Veniamo a te: per chi ancora non ti conoscesse, chi è Sire?
Wow, che domanda difficile. Sire è un ragazzo come tutti, che ha una storia da raccontare. È un ragazzo che ha un sogno nel cassetto, che si sveglia la mattina e va a dormire la sera con una sola cosa in testa: la musica. Voglio correggermi, non ho un sogno nel cassetto ma un progetto.
Finora sappiamo di te che esistono due EP (“Mostro” e “Finto”) e che è in arrivo il tuo primo album (“Savio”). Com’è cambiato Sire dagli EP a oggi?
Penso che tutti gli artisti cominciano un po’ per gioco, per me fino a poco tempo fa era un gioco, un motivo per riempire le mie giornate e tentare di uscire dalla monotonia del lavoro e di tutti i giorni. Col tempo ho capito che voglio viverci di questa roba, lo faccio in maniera più consapevole, metto mano alla penna, alla tastiera, scelgo il mio obiettivo e scrivo proprio di quello. Prima, invece, forse perché più inesperto o meno “affamato”, lasciavo che l’ispirazione facesse tutto, lasciavo che la musica dettasse le parole, a volte non conoscevo l’argomento dei testi, fino alla fine della stesura.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo primo album?
Negli ultimi mesi ho vissuto davvero tanto, ho vissuto forse una vita intera in pochissimo tempo. La mia vita ha fatto salti repentini, sia positivi che negativi. A volte mi svegliavo al mattino spaesato senza sapere quale fosse il mio obiettivo. Ho perso tanto, ho perso persone importanti, casa, lavoro e ho riacquistato tutto nel giro di pochissimo tempo. Ho capito in questo periodo che le cose importanti sono semplici, che star bene davvero è diverso dal far finta di star bene solo per postare una storia figa su instagram. Con questo album voglio far trasparire questo, voglio mettermi a nudo e far uscire tutto quello che ho dentro, senza filtri e senza troppi giri di parole e cazzate da rapper placcato.
Per quanto riguarda i brani, personalmente sono rimasto colpito da “8 piani” e “F@ck”. Come mai hai scelto questi brani come portabandiera della tua arte?
In realtà tutti i brani a cui lavoro sono sempre molto personali. “8 piani” e “F@ck” raccontano due periodi molto particolari della mia vita. Oltre a questo aggiungici il fatto che, soprattutto F@ck, alla gente piace tanto. Ogni volta che la faccio live è sempre una mega festa, la gente la canta per giorni e vederli muoversi a tempo, non ha prezzo.
Recentemente hai pubblicato il singolo “Come Torino dall’alto”, in cui mostri il tuo amore per la città piemontese. A me piace ricordare, però, le tue origini pugliesi, e quindi mi viene da chiederti come ti sei sentito a raccontare una città totalmente diversa rispetto la tua ‘terra natia’.
È vero, lo ammetto, fa strano. Ma ti dirò, mi sento molto torinese. Questa città mi ha incantato. Amo Torino per i suoi panorami, il Po, la storia che porta e la amo anche per le sue piogge, il suo grigiore invernale e la malinconia che a volte si respira. Si sono pugliese e amo le mie origini, credo sia importante non dimenticare mai da dove vieni ma è altrettanto importante sapere dove invece vuoi andare.
Sulla tua arte, il rap, pensi sia ufficialmente sdoganata oppure ci sono ancora delle barriere da superare?
Credo che il rap viva il periodo migliore di sempre. I rapper italiani, oltre a suonare anche nel resto del mondo, scrivono per un sacco di altri artisti che magari fanno pop o rock. Il rap si respira ovunque e ormai lo riconoscono tutti. Ora il rap piace al ragazzino così come all’anziano. Non so se tutto questo sia un bene però: rappare è facile e lo fanno tutti, la qualità delle rime e dei testi è scesa notevolmente. La cosa positiva è che emergere dalla mediocrità è piuttosto facile. Chiedo scusa per la saccenza, non dico di essere migliore degli altri ma la penso così.
Tu fai parte dell’insieme degli artisti della musica emergente, a mio avviso un mercato ormai saturo di proposte. In tal senso, come può un cantante emergere da questo pentolone?
Oggi è davvero facile, impegno, costanza e talento spianano quasi sempre la strada verso il successo. Se manca tutto questo, con 5 o 6 mila euro di pubblicità, arrivi dove vuoi.
Come anticipavamo poc’anzi, sta per uscire il tuo nuovo album. Rispetto a chi l’ascolterà, per te sarà un’opera ‘vecchia’, in quanto l’avrai ascoltata più e più volte prima della sua pubblicazione, mentre per il pubblico sarà un prodotto del tutto nuovo. Come vivi questa diacronia?
Sai che questo è forse il disco meno “vecchio” che rendo pubblico?! Il “Mostro ep” e “Finto”, sono dischi che hanno visto la luce mesi, forse anni dopo essere stati registrati. Forse perché sono un maniaco perfezionista, forse perché non pensavo di voler far diventare la mia passione, pubblica o un lavoro. Questo disco invece lo sto ancora scrivendo e sta già quasi per uscire. Sto vivendo tutt’ora le cose che ho scritto, le storie che canto non hanno ancora visto una fine. Non so se sarà attuale per il pubblico, vorrei che la gente capisse che è semplicemente vero, che mi rappresenta e che in quei versi che canta Sire, c’è tanto anche di “Savio”.