– di Edoardo Biocco –
Se all’improvviso nel feed di qualche vostro social appare una foto di gruppo che sembra uscita dall’album di matrimonio di una coppia disperatamente hipster, le opzioni sono due: o dovete rivedere il vostro giro di amicizie, oppure vi trovate di fronte alla super copertina di Tv Sorrisi e Canzoni dedicata a Sanremo.
Non siete felici? Non la sentite l’aria frizzantina dei giorni della merla? Eh sì è già quel periodo lì, la dolce intercapedine temporale fra l’imbarazzante conferenza stampa dei conduttori e la prima, attesissima serata. Sembra trascorso un anno e mezzo dalle mitiche dichiarazioni di babbo Amadeus, balzate agli onori della cronaca dei memers: i passi indietro rispetto ai grandi uomini, le vere donne che sono immancabilmente bellissime, la soap opera vivente che porta il nome di Rula Jebreal, i terrificanti spot della Rai con il giovane Ama che prova a cantare, e tutta quella roba là.
Insomma, piano piano ci siamo arrivati al fatidico martedì e tutto sembra pronto per la grande kermesse (che kink usare tutta questa pletora di termini che solo Vincenzo Mollica padroneggia con maestria!), e a braccia spalancate abbracciamo l’evento che ogni anno ci fa chiedere se davvero siamo noi quelli rappresentati sul palco dell’ Ariston.
Torneranno i vari pezzi di mobilia come Nigiotti e Gabbani che del festival stanno imparando a farne un mestiere, il primo con una visione dell’amore squisitamente da tredicenne e l’altro che a forza di giochi di parole si è fatto amare tanto da grandi e piccini.
Ci saranno gli epici ritorni (Pelù, Masini, Le Vibrazioni, Zarrillo e chi più ne ha, più ne metta) che servono principalmente a fare da collante fra boomer e millennial/Gen Z. Se infatti questa edizione può vantare davvero qualche elemento di interesse si deve soprattutto all’aver saputo riprendere il discorso da dove lo aveva lasciato Baglioni, in grado di puntare sugli artisti che ascoltano i più giovani.
Rancore ha deciso che quest’anno correrà da solo e porterà sul palco un bel po’ di suggestioni pronte a suonare come un pugno nello stomaco del pubblico sanremese; i Pinguini Tattici Nucleari, il volto inoffensivo dell’indie, spiegheranno nella loro “Ringo Starr” cosa voglia dire essere sempre i secondi nella vita, guardando le storie degli altri che filano lisce; infine Junior Cally il ragazzaccio maleducato, tanto in vista negli ultimi giorni per le proteste nate attorno ai suoi testi brutali, che proporrà un brano politico al vetriolo.
Il dubbio nel tentare di capire quale parte dell’Italia finisca sul palco del Festivàl un po’ rimane: se uno si limitasse a guardare le parole più usate nei testi di Sanremo troverebbe “amore” al primissimo posto, eppure il muro inizia a scricchiolare da qualche anno a questa parte. Iniziamo a non vederci più rappresentati dalle storie smielate, ci rendiamo conto del fatto che c’è altro, che siamo vittime di una profezia che noi stessi abbiamo contribuito a far avverare, la profezia della locura di Boris, viviamo in “un paese di musichette, mentre fuori c’è la morte”. C’è di buono che forse questa consapevolezza sta filtrando oltre la cortina di ferro ligure, dittatura del CuoreAmore, e chissà che fra qualche edizione non riesca addirittura ad imporsi, in nome di una canzone leggermente più vera e credibile, e in tutta franchezza, guardo ogni edizione solo in attesa di quel momento.
Quindi fra un “Sono stato frainteso” e un “Me ne frego” ci accorgiamo di quanto in Italia siamo legati alle tradizioni. Anche chi le odia. Anche a chi sta sul cazzo il Natale le inevitabili litigate con il prozio laterale provocano un perverso piacere, su. D’altra parte da quando “Sanremo è Sanremo” tutti lo aspettano con un loro carico emotivo, non importa se positivo o negativo, perché come insegna il vecchio adagio del mondo della pubblicità, non esiste quella cattiva né quella buona, basta che se ne parli.