– di Riccardo De Stefano.
Foto di Liliana Ricci –
L’arrivo del nuovo decennio si accompagna ad una sicurezza di fondo. Gli artisti di quella cosiddetta “scena indie” non sono più novità, ma certezze del mercato.
Quindi non fa più stupore vedere il PalaEur gremito di gente per lo show di Gazzelle: ormai il nostro è star nazionalpopolare e certi numeri sono conferme, non meraviglie. Sarebbe stato certamente più strano ritrovarsi dentro un palazzetto semivuoto, al giorno d’oggi.
E così, lo show romano del 28 gennaio, in supporto alla riedizione di Punk – ribattezzata Post Punk e con alcuni inediti aggiunti – si conferma più una celebrazione casalinga che uno show costruito per stupire.
Flavio – cioè Gazzelle – dimostra di essere in forma e per tutto lo show fatica a trattenere il sorriso di fronte al grande tributo e alle ovazioni costanti che il fedelissimo pubblico gli tributa per tutto lo show.
Giustamente: il concerto è estremamente godibile e la band suona bene, coadiuvata da un quartetto d’archi tutto al femminile che si prende il centro della scena in un paio di occasioni. C’è da sottolineare come la band dietro a Gazzelle (letteralmente dietro, rialzata e leggermente in ombra per lasciare il fronte del palco a Flavio) sia la stessa che lo segue fin dagli esordi, quelli che hanno suonato i primissimi brani e si confermano bravi, capaci e professionali anche oggi che i palcoscenici sono ampiamente cambiati.
E lo show ha spazio un po’ per tutto: se Flavio entra chitarra in mano per una “Scintille” acustica, si salta e si balla per i brani più uptempo, come ci si commuove nel medley centrale acustico, dove Valerio Smordoni, tastierista, si avvicina al piano al centro del proscenio e insieme alle quattro ragazze agli archi tramuta i brani itpop di Flavio in ballate agrodolci, con “Martelli” che – grazie a un perfetto riarrangiamento – sembra avvicinarsi a quell’”Eleanor Rigby” di Beatlesiana memoria.
C’è spazio anche per un superospite – uno di peso: è infatti Tommaso Paradiso a salire sul palco per scambiare qualche strofa con Gazzelle su “Sopra”, mandando in fibrillazione il pubblico e sancendo l’amicizia indie-mainstream anche in questo nuovo decennio.
Insomma, fino alla fine, prima dell’effettivo bis di “Scintille” e della conclusiva e toccante “Tutta la vita”, tutto va alla grande, e Gazzelle si dimostra capace di reggere il palco – benché forse ancora non a proprio agio con i grandi spazi – e di saper mettere su uno show di un’ora e mezza di ottimo pop.
Questo se ovviamente si fosse riuscito a sentire qualcosa al PalaEur.
Perché se il nuovo decennio conferma il trend di successo dei cantautori del circuito “indie”, ne conferma anche l’impossibilità di estraniarsi dal proprio pubblico.
Ora, se siete mai stati al PalaEur già saprete le condizioni audio del luogo, dove i bassi vengono stritolati dai riverberi e dalle rifrazioni dell’arena, creando un rumore di fondo impossibile da capire. Aggiungeteci alcune migliaia di ragazze istericamente urlatrici per 90 minuti e avrete il senso di uno show “indie” al giorno d’oggi: un immenso karaoke dove è quasi indistinguibile una nota dall’altra e tutto viene schiacciato dall’insostenibile urlo del pubblico, incurante di qualsiasi sforzo operato dagli artisti sul palco.
Perché – lo confermo – lo show è molto godibile, ma quello che arriva a chi sta sotto è un decimo di tutto il lavoro di arrangiamento e cura applicato dai musicisti. L’insaziabile voglia di protagonismo del pubblico infatti fagocita tutto e tutti, così Gazzelle si ritrova a cantare i propri testi perennemente in compagnia di questo ruggito svociato e stonato del pubblico, molto più concentrato nell’urlare che nel godersi il momento.
Insomma, avete presente quando a qualche concerto di qualche gruppo internazionale, trovate lo stronzo di turno che vi urla la canzone nelle orecchie? In molti casi, quello stronzo ero io, e so di aver rovinato lo show a molti. Ma come in un romanzo di Richard Matheson, adesso che sono invecchiato e assisto agli show cercando di godermeli, mi ritrovo a essere Leggenda, unico e isolato in un mare di post adolescenti venute per strillare ogni singola sillaba scritta da Gazzelle.
Ovviamente non si può fare una colpa a Flavio, e il trend coinvolge tutti gli artisti del circuito pop. Il dramma è quanto questi show siano sminuiti dal proprio pubblico, e quanto a quest’ultimo poco interessi quello che succede realmente sul palco.
È un peccato, perché le canzoni sono belle e vincenti anche per il lavoro di arrangiamento che c’è dietro, e per la capacità di Gazzelle di cantarle con espressività. Purtroppo, in questi anni, diventa sempre meno piacevole andare a questo tipo di concerti, se l’effetto finale è quello di restare assordati dal pubblico.
Non fraintendetemi: va bene anche così, in fondo sono show pensati per una certa fascia di utenza e forse per Gazzelle & Co. sarebbe strano il contrario. Mi vengono però in mente i Beatles e il loro malessere nel vivere i grandi show, dove a malapena riuscivano a sentirsi e dove al pubblico importava solo di vedere i propri idoli da sbranare: la frustrazione di sentirsi “inutili” sul palco li portò ad abbandonare i live show per sempre. Essere schiavi del proprio pubblico non sempre è la strada migliore, se si vuole sopravvivere a lungo, e in questi tempi di protagonismo sfrenato di chi sta sotto il palco, bisognerebbe trovare un modo per valorizzare i concerti e spostare l’attenzione dall’effetto karaoke allo show in sé.