– di Assunta Urbano –
Il 13 dicembre 2017, nel panorama musicale italiano, emerge per la prima volta il nome di Federico Fabi. Una personalità forte, decisa e distinta fuoriesce dalle otto canzoni all’interno dell’EP Io E Me X Sempre. La sua semplicità e la sua schiettezza fanno velocemente breccia nel cuore degli ascoltatori.
Dopo aver calcato svariati palchi in giro per lo Stivale, la fine del 2019 segna il suo ritorno con il brano Parka, pubblicato sulle piattaforme digitali il 13 dicembre, esattamente due anni dopo l’esordio. La canzone preannuncia l’arrivo di tante novità in cantiere per il giovane cantautore.
Abbiamo intervistato Federico Fabi per farci catapultare nel suo mondo e per farci raccontare un pezzo della sua storia.
Il 13 dicembre 2017 è stata la data d’uscita del tuo EP esordio, Io E Me X Sempre. Otto pezzi, registrati in una cantina, che hanno colpito in modo immediato gli ascoltatori. Parka, invece, il tuo ultimo singolo pubblicato, segna il tuo ingresso in uno studio professionale. Come hai vissuto questa nuova esperienza?
Più che come l’ho vissuta io, come l’ha vissuta chi mi è stato accanto durante le registrazioni. Con mio grande stupore, mi sono ritrovato nello stesso studio in cui hanno registrato gente del calibro di Contessa, Thegiornalisti, Coez, con al fianco alcuni dei musicisti più bravi d’Italia: Jesse Germanò, Matteo Domenichelli e Francesco Aprili. È stato difficile, parlavamo due lingue diverse, credo di averli stressati parecchio. Io non riesco a leggere neanche uno spartito e non ho un linguaggio tecnico. Quindi, mi è capitato di esprimermi con gesti, suoni onomatopeici e, in più, ho un brutto caratteraccio, che spesso non facilita la comunicazione. Tra l’altro, quasi sempre, ho un’idea ben precisa del risultato che vorrei ottenere alla fine di ogni lavoro e qualche volta capita che faccio fatica a trovare un compromesso con gli altri. Però, mettici la loro pazienza, la loro esperienza, un pizzico del mio genio ed escono fuori dei gran bei lavori.
Spinaceto è la casa in cui è nato il tuo EP, la tua dimora effettiva e diventa anche lo scenario protagonista del video di Parka. In più, lo stesso luogo veniva citato anche nel pezzo Parigi. Raccontaci com’è il legame che hai con il tuo quartiere.
Spinaceto, fondamentalmente, è un quartiere “dormitorio” con due strade separate da palazzi, che sembrano navi da crociera. Non è Rione Monti, non è Prati. È una dimensione diversa, una piccola realtà, dove il brutto diventa il bello, la debolezza si trasforma in forza. Se ci passi di domenica (e magari piove pure), ti sembra di essere catapultato in uno scenario apocalittico di qualche sobborgo dimenticato da Dio dell’Europa dell’Est. Io, in tutto ciò, invece, ci vedo un’immensa bellezza, semplicità, purezza. Nessuna montatura, nessuna maschera, nessuna pretesa. Tutto è quel che è. L’immenso vantaggio di vivere nella periferia di Roma Sud è che nessuno è travestito da qualcuno, ognuno interpreta se stesso. C’è onestà, trasparenza, fratellanza. Certo, ogni tanto scappa qualche coltellata, una sparatoria, ma anche questo dà colore a questo bellissimo quadro che è Spinaceto.
Le tue canzoni ci riportano al panorama britpop degli anni Novanta, ma con Parka ci sono riferimenti più specifici a quell’immaginario, sia con il cappotto, quanto con il cappello alla “pescatora”. Parlaci del pezzo e del rapporto di Federico Fabi con quello scenario, a cui siamo un po’ tutti, inevitabilmente, legati.
Ora mi diverto. Spesso mi sono ritrovato alla gogna per questa mia tendenza ad amare quel periodo, quell’immaginario anni Novanta. Mi è stato detto “Vai avanti”, “Liberatene”, come se fosse un problema da risolvere, un ostacolo per la mia musica, per la mia elasticità mentale. Cazzo, è assurdo. In giro troviamo il ragazzetto bianco di Viale Parioli, che si mette a fare il Travis Scott della situazione, o magari il tamarro calabrese di Piazza Bologna, che si veste e canta come Giuliano Sangiorgi. Oppure i pipparoli, li vedi con il Barbour e il cappellino di Micky Mouse, che si rinchiudono da “Marmo” ogni domenica della loro vita da pipparoli, nella speranza di parlare ancora un po’ dello loro ultima fatica, ovvero l’ennesima canzone dedicata a YouPorn. Non sono luoghi comuni, è tutto vero, là fuori c’è il circo ogni giorno e io non posso ispirarmi alla cultura Mod, ai Beatles, agli Oasis, o al Jake Bugg di turno? È incredibile, non me ne capacito. Ovviamente, fate quello che vi pare, dite quello che vi pare, ma non rompete i coglioni a me. Poi, anche se adoro il britpop, nulla mi impedisce di scrivere un album alla Leonard Cohen, come è successo per Io E Me X Sempre. Quindi nessun problema, riesco totalmente a scindere le mie passioni e le mie ossessioni dalla musica che scrivo. Poi, se salgo sul palco a cantare una ballata alla Cohen travestito da Gallagher – disculpame –, sono cazzi miei. È la musica ciò che conta, la musica è la mia verità. Fine della storia. Ma, in fin dei conti, vuoi mettere Liam Gallagher con Giuliano Sangiorgi?
I tuoi pezzi arrivano facilmente all’ascoltatore, non solo per i testi in cui ritrovarsi e riconoscersi, ma anche per la formula chitarra-voce. Cosa rappresenta per te questa semplicità? Hai in progetto di cambiare questo aspetto nel futuro oppure confermarlo come tua costante caratteristica?
Chitarra e voce è la formula magica. È chiaro fin dai tempi di Dylan e non capisco perché, attualmente, in Italia, non venga presa in considerazione più di tanto. Senti Nebraska di Bruce Springsteen e te ne rendi conto, senti i primi due dischi di Bon Iver, senti Johnny Cash, senti il primo Dylan. È qualcosa di matematico e, di certo, colpisci subito al cuore dell’ascoltatore. Quando guardo la mia chitarra provo un senso di amicizia, mi fa sentire meno solo. Ovvio, ora nei miei ultimi lavori ci sarà una crescita, ma il binomio chitarra e voce è, e credo che sarà ancora per molto, una prerogativa.
In questi due anni hai calcato vari palchi romani, così come altri a spasso per la Penisola. C’è qualcuno di questi tuoi concerti a cui sei più affezionato? E ci sono dei posti in cui vorresti suonare?
Due anni fa sono stato al concerto di Giorgio Poi al “Quirinetta”, e per me fu molto illuminante come cosa, dato che quella stessa sera capii che la musica era ciò che volevo fare davvero. La cosa assurda è che due anni dopo mi sono ritrovato a registrare in studio con gli stessi musicisti di Giorgio. Quindi, ho pensato che tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto bene per ottenere un tale risultato. In questo “tutto ciò”, una grande fetta è occupata dai molteplici concerti che ho fatto a Roma e in giro per la Penisola. Salire sul palco è stato facilissimo, una delle cose più divertenti che abbia mai fatto. I momenti migliori li ho vissuti a “La casa di Emme” a Bassano Romano (VT). Loro sono dei pazzi scatenati, gentilissimi, affettuosissimi. Ci sono stato due volte, mai sobrio, e tutte due le volte sono stati concerti epici. L’ultimo è finito a cantare stornelli romani con gente che saliva sul palco. È stato spettacolare. Mentre un posto dove sogno di poter cantare è il Concertone del Primo Maggio. In questi anni, spesso mi è capitato di stare dietro al backstage e, ancora più spesso, mi è capitato di avere la prepotente voglia di fare invasione di palco e far sentire qualche mio pezzo al pubblico. Chissà, magari capiterà, magari no.
Dopo l’uscita del singolo il 13 dicembre, ci saranno altri brani, oppure un disco? Insomma, cosa accadrà nel futuro di Federico Fabi?
Accadranno delle belle cose. A breve usciranno altri due singoli, e poi, finalmente, un EP. Credo che di conseguenza ci sarà un tour, la fama, il successo, la depressione ed infine il suicidio. È cosi che va, no?