– di Giacomo Daneluzzo.
Foto di Simone Cecchetti –
Sumo è il titolo del nuovo album di inediti del Management, che fino a poco fa eravamo abituati a chiamare Management del Dolore Post-Operatorio.
Dopo l’esperienza con varie etichette, indipendenti e non, Luca Romagnoli e Marco Di Nardo (rispettivamente autore dei testi e compositore della musica) approdano all’etichetta napoletana Full Heads, con cui registrano il disco all’Auditorium Novecento di Napoli.
Distribuito da Believe Digital/Audioglobe, l’album si distacca parecchio da quello che è la “scena indie” attuale, di cui il Management è sempre stato considerato parte integrante se non addirittura portabandiera, e si distacca anche dalla lunga tradizione del cantautorato di protesta che il gruppo ha sempre avuto sulle spalle: le sonorità si fanno più ricercate e i testi più intimi e personali, in continuità con un cambiamento che vedeva la sua fase embrionale già nel precedente Un incubo stupendo (La Tempesta/Garrincha Dischi, 2017).
Marco Di Nardo, che figura nelle vesti di produttore in ogni traccia del disco, sviluppa delle sonorità difficilmente etichettabili, che oscillano tra il punk-rock, la ballad in acustico, l’elettronica e il pop cantautorale, senza però essere niente di tutto ciò e cambiando radicalmente genere da una traccia all’altra. Si tratta di un rinnovato “sound-Management, che si distanzia ulteriormente da quello che possiamo sentire altrove e trova una sua dimensione originale, conferendo all’intero disco una notevole eterogeneità.
Dal punto di vista testuale Romagnoli è cresciuto, è passato dal grido di protesta contro tutto ciò che non va nel mondo (che comunque ha un suo fascino, a mio parere) a uno sguardo più maturo, forse anche più attuale, sull’esistenza: Sumo, rispetto ai lavori precedenti della band, canta l’uomo, l’individuo, con le sue emozioni, riflessioni, con la sua storia piena di traumi, demoni, paure… Sì, perché il focus del disco è lì, su un’esistenza fatta di ombre, di lati oscuri, di nostalgia del passato, sull’appassimento dei fiori su una camicia hawaiana regalata (come malinconicamente narrato in Soltanto acqua).
Eppure il Management non si ferma qui, perché Sumo è un disco che parla anche di guarigione, di alternative: possono essere rappresentate da legami profondi, dall’evasione, dal desiderio, persino dall’accettazione che la vita è questa, “sembra un tavolo da gioco” (Avorio), ma tutto sommato ci si può anche divertire.
Come i dischi precedenti e forse più dei dischi precedenti, Sumo sembra nascere da una profonda urgenza espressiva: la richiesta d’aiuto di Sto impazzendo rivela una sorta di intento catartico nella scrittura delle canzoni, un mettersi a nudo che può risultare anche spiazzante, ma senza dubbio d’effetto.
Il tempo, lo scorrere del tempo, i ricordi e i sentimenti ad essi legati sono temi ricorrenti all’interno dell’album; lo stesso titolo, Sumo, nella title track è una metafora riferita proprio al tempo, un tempo pesante e che tenta di atterrarci (obiettivo principale nel sumo).
La copertina dell’album, che raffigura una luna rossa su sfondo bianco, in riferimento alla bandiera giapponese, si riallaccia al sumo, sport nazionale del Giappone, ma nasce come omaggio alla celebre interpretazione della canzone Luna rossa di Roberto Murolo che venne registrata proprio negli stessi studi della Phonotype Records, rilanciati nel 2018 come Auditorium Novecento e considerati un vero tempio della musica napoletana e italiana.