– di Sara Fabrizi –
Dopo l’esordio cantautorale, profondo ed intelligente, Vasco prosegue in quella direzione ma la condisce di irriverenza, di rock, di sesso, di antiproibizionismo, di antimilitarismo.
È giovane, arrabbiato, indipendente da grandi etichette, osa. È un figlio dei fiori destabilizzato dagli anni di piombo e dal bigottismo nostrano che nessuna rivoluzione sessuale è riuscita a debellare. È romantico, passionale, ancora sogna e mantiene il suo stupore.
E ci scherza su, su tutto. Ironia e nessun timore di scardinare i canoni classici del cantautorato. Testi irreverenti e provocatori, arrangiamenti che lo sono altrettanto. Grande prova di Curreri prima di vestire i panni più rassicuranti di leader degli Stadio. Proviamo ad immaginare come doveva sembrare Vasco Rossi all’italiano medio e non più giovane del 1979. I cinquantenni lì a scuotere la testa dinanzi a questo ennesimo rocker scandaloso. Che fosse hippie o punk poco importava, a loro doveva apparire come un nullafacente pronto a deviare le esistenze borghesi dei propri figli come già avevano fatto i rockers d’oltreoceano qualche anno prima. Mi pare di aver letto che gli si affibbiò l’appellativo di balordo. Non oso immaginare come l’apostrofasse l’invadente stampa cattolica dell’epoca. Chissà le risate che doveva farsi questo ventisettenne talentuoso, pieno di idee e di cuore, dinanzi all’eco del suo nascente successo.
Innamorato di Battisti e figlio della grandiosa stagione del prog, testimone di un’epoca che stava finendo lasciando all’eroina il compito di colmare il vacuum di spinte ideali che proprio sul finire del decennio, forzate oltre la loro ragione iniziale, stavano tramontando. Inizia a prefigurarsi la “generazione che non ha più né santi né eroi” di cui Vasco diverrà il vate. Davvero le sue canzoni hanno creato significato e comunanza per tanti giovani allo sbando. E mi piace pensare che molti di questi abbiano preferito “farsi” di album come questo tralasciando le droghe. Perché molte sue canzoni sono così piene ed appaganti che lo creano davvero quel paradiso artificiale in cui rifugiarsi. Non Siamo Mica Gli Americani!
Quindi facciamo il punto sulla nostra situazione. Quali sono le storie da raccontare in musica nell’anno 1979? Io Non So Più Cosa Fare, rock ballad ad alto tasso di sensualità. Tanto moog, che incontra fraseggi di chitarra acustica e poi elettrica, racconta questo desiderio reciproco in modo delicato e deciso. Pezzo irresistibile. Come di irresistibili ce ne sono diversi in questo album. Sballi Ravvicinati Del 3° Tipo, un intro sognante di chitarra acustica, una voce dolce (vocalità perfetta il primo Vasco) e qualche accenno del caro moog. Poi sale tutto in questo racconto dell’incontro con l’altro, in questo caso gli alieni. I fraseggi di chitarra restano l’ossatura portante del pezzo, giocato tutto su questa melodia accattivante. C’è un qualcosa di poetico e un’atmosfera sognante bellissima che infine sfuma sul moog che simula suoni spaziali. Ma questo è l’album dove l’anima rock di Vasco inizia ad emergere con decisione. La Strega ne è un deciso assaggio. Riff di elettrica a piene mani, batteria incalzante, moog e pure un po’ di sax ci narrano le gesta di questa ragazzina/femme fatale che spadroneggia in discoteca, in perfetta coerenza con i tempi.
E questo è l’album di Albachiara. Che l’ha in qualche modo fagocitato questo disco, al punto che nelle ristampe si cambiò il titolo da Non Siamo Mica Gli Americani! ad Albachiara. La madre di tutte le romantic rock ballad d’Italia. Cosa è questo pezzo per tutti noi? Di sicuro non possiamo essergli indifferenti. Per quanto sentito allo sfinimento, abusato. Ma i suoi riffoni, l’intro di piano, la batteria che scandisce con decisione le battute, l’acustica che fraseggia appena. E poi ancora i riff, chi non li ha cantati o simulati nel suonare? Non vergogniamoci ad ammetterlo. Questa canzone è patrimonio collettivo, è significato condiviso, è storia. È un inno nazionale, è un sorriso contagioso, è uno stringiamoci forte e su le mani con gli accendini. Questa ragazzina mite e dolce che si apre alla vita e che incanta con la sola sua esistenza. Albachiara è bella, già solo per il fatto che esiste, che va a scuola, determinata, persa nel suo mondo. Da donna credo che una donna non desidererebbe ricevere dedica più disarmante. La donna adorata come fosse una sorta di angelo, quasi una figura mistica, quasi come nel Dolce Stil Novo, quasi come nella Sad Eyed Lady Of The Lowlands dylaniana. Romanticismo puro, nel senso più semplice e profondo del termine.
A tanta delicatezza fa da contraltare Fegato, Fegato Spappolato dove emerge il Vasco sconvolto, ribelle, che fa uso di droghe. Ritmo funk e chiusura con un inserto di punk inglese. L’antimilitarismo irriverente è un altro topic dell’album. Non un pacifismo impegnato ma una presa in giro del sistema della leva obbligatoria. (Per Quello Che Ho Da Fare) Faccio Il Militare. Pezzo burlone, Vasco ci si diverte soprattutto con la voce su quell’accordo ripetuto all’infinito. Sembra che faccia cabaret. Godibile. “Non siamo mica gli americani che loro possono sparare agli indiani”. L’album si chiude con 2 brani di defaticamento. Quindici Anni Fa, dove prog e funk dialogano in questo ricordare. E Va be’. Vasco si congeda da noi con un brano ironico e d’altri tempi, atmosfere da night club tra jazz e blues. Ancora una donna protagonista. “Vabè se proprio te lo devo dire, fisicamente non sei fatta male, ma non esageriamo, non sei mica la Cardinale”.