– di Sara Fabrizi –
Ma Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone (1978)
Il primissimo Vasco. Quello cantautorale. Quello settantino. Quello con influenze prog e moog a volontà. Quello di struggenti canzoni d’amore, scritte da lui e da Gaetano Curreri. L’album dove le chitarre le suona lui.
Ho avuto tempo fa la fortuna di vedere una trasmissione tv su Sky (Quarantacinque Giri) dove raccontava il making of di quest’album. Vederlo così, con gli occhi lucidi mentre ripercorre i suoi albori, vederlo con l’acustica in mano che strimpella Tu Che Dormivi Piano. Vederlo così “innocente” mostrare il suo lato più intimo e tenero mi ha fatta piangere e capire quanto possa essere complesso un artista e il suo mondo.
Spesso impariamo a conoscerlo per determinati aspetti e ci concentriamo sulla figura della rock star tutta sesso, droga e rock’n’roll. E non vediamo che sotto c’è l’uomo che con fare timido e emozionato se ne sta lì in un angolo a strimpellare e a comporre le sue canzoni.
Ma cosa vuoi che sia una canzone.. niente e tutto, appunto.
In un panorama musicale, quello della fine degli anni ’70, che pullulava di creatività cantautorale questo primo album di Vasco Rossi non ha nulla da invidiare ai più grandi e consolidati cantautori dell’epoca. La nostra relazione è un’amara ballata su una relazione oramai agli sgoccioli con un andamento quasi disperato portato avanti da una chitarra elettrica che muore sui colpi di batteria finale. Uno di quei pezzi che li ascolti la prima volta e sai già che parlano di te, a prescindere se tu viva o meno quella situazione.
E poi mi parli di una vita insieme. Un testo femminista dove Vasco sprona la sua donna ad emanciparsi dagli stereotipi di ruolo e prendere in mano la sua vita. La melodia è meravigliosa, con un crescendo bellissimo della 12 corde e il moog e il basso di sottofondo che creano una cornice perfetta. E quel ritornello in cui tutto esplode “Io vorrei che tu, che tu avessi qualcosa da dire, che parlassi di più, che provassi una volta a reagire..”
Poi c’è Silvia, incantevole nenia sorretta da tastiere delicate che crescono fondendosi col moog. Un racconto dolce e soave, la storia di una ragazzina che si scopre donna. Un’Alba Chiara in nuce, deliziosa. La Just Like A Woman nostrana.
Poi vabbè c’è Tu che dormivi piano. Ogni volta che l’ascolto mi chiedo se i detrattori di Vasco abbiano mai ascoltato questo pezzo. Davvero impossibile non commuoversi dinanzi a tanta bellezza. Chitarre incantate raccontano di una notte speciale. Il caro moog che scalda tutto. L’esplosione di quel ritornello meraviglioso “Le anime calde si fusero insieme sospese in mezzo la stanza, mentre il soffitto sembrava cadere stringevo in pugno la vita” e a seguire il riff di elettrica più bello della storia della musica italiana che va a spegnersi su quelle tastiere prog impazzite. Mi piacerebbe saperla descrivere meglio ma è qualcosa di troppo vicino all’ineffabile.
Jenny è pazza è amara e disincantata. Jenny è una ragazza “perduta”, che nessuno ha saputo capire ed aiutare. Jenny è l’altro che abbiamo trascurato. Chitarre delicate raccontano la sua triste storia, poi entrano le tastiere che ci portano in atmosfere da fiaba di quelle evocate da band come Le Orme. Poi cresce tutto, chitarre e moog, fino a gridare il ritornello a difesa di questa ragazza. Poi ancora una volta la calma e toni sommessi fino a esplodere di nuovo. Riffone di elettrica e tastiere prog style fino alla fine.
Ambarabaciccicoccò è pungente e “politica”. Siamo nei 70s ed il privato è pubblico. Si parla dei cambiamenti socio-politici, della contestazione perenne, della rivoluzione ormai banalizzata dall’eterno mettere sempre tutto a ferro e fuoco. Un brano che è un fuori programma in un album di ballate struggenti. Inserti parlati ed un pianoforte jazzarolo. Sezione ritmica molto decisa. E’ un brano che spezza un album omogeneo, ma è una disgressione appropriata, riallacciando il tutto al clima dell’epoca.
Ed il Tempo crea eroi è un brano dal sapore country e folk che alleggerisce il tutto ristabilendo la grazia e l’armonia. Uno sguardo delicato sulle storture del mondo. Il violino ci culla, la chitarra acustica ci consola.
La chiusura è affidata ad un pezzo breve e strumentale, sembra una demo e forse lo è. Perché poi diverrà Ciao in un album successivo. Tutto al pianoforte, Gaetano Curreri impegnato in un piacevole virtuosismo. Vasco si congeda così da noi lasciandoci apprezzare il suo primo notevole full lenght fatto di semplici meravigliose canzoni.