– di Ilaria Pantusa –
Può un disco essere fatto di momenti differenti fra loro, che vogliono contenere tutte le sfaccettature possibili di ciò che quel gruppo o artista vuole essere? Nel caso della creatura di Marco Fasolo, i Jennifer Gentle, la risposta è sì. Dopo oltre un decennio dall’ultimo lavoro, The Midnight Room (Sub Pop Records, 2007), i Jennifer Gentle tornano con un omonimo album per La Tempesta Dischi.
Diciassette tracce per un’ora d’ascolto ci raccontano il passato recente, il presente e i buoni propositi per il futuro di un gruppo che circa quindici anni fa si guadagnò la fiducia della Sub Pop, la storica etichetta di Seattle che accolse, fra gli altri, i Nirvana.
Incisi negli ultimi due anni, i brani necessitano di un ascolto attento per poter essere apprezzati come meritano. A risaltare immediatamente è la varietà di influenze e di punti di riferimento, la vera peculiarità di questo ritorno per la band alternative rock. Se infatti Guilty, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’lp, mostra un lato quasi scanzonato e leggero, a metà fra funky e rock’n’roll, ed è un invito a ballare (Why don’t we groove it?/ And dance to this song?), ci dice anche di muoverci nell’oscurità (Oh we gotta move in the dark), che è quello che succede con pezzi come Temptation, dal ritmo serrato e caratterizzato da un cantato che ricorda il meglio della dark wave anni ’80 in stile Bauhaus e Sisters of Mercy, e My Inner Self, in cui la batteria quasi sola protagonista del brano, insieme alla voce suadente e oscura di Fasolo, introduce ad atmosfere quasi da film dell’orrore.
Le atmosfere però sanno anche rilassarsi in una sorta di psichedelia di beatlesiana memoria, come accade in Swine Herd o nella bellissima What in the World, dove basso, piano e chitarre la fanno da protagonista in quello che è uno degli arrangiamenti migliori e più curati del disco.
Non è di certo semplice riuscire ad inserire in un album solo brani riusciti come quelli nominati fino ad ora, e in effetti c’è qualche pezzo che risulta superfluo, ma stiamo comunque parlando di un disco confezionato con attenzione e cura dei dettagli, in cui si fa un interessante lavoro anche sull’interpretazione vocale e in cui si riesce a far stare vicina l’influenza della New Wave anni ‘80 a quella della psichedelia anni ’60.
Nel complesso, l’idea è che la band abbia fatto tesoro delle avventure musicali intraprese dal suo leader, Marco Fasolo, che in questi anni ha prodotto Verdena, Bud Spencer Blues Explosion e I Hate My Village, supergruppo in cui suona anche il basso al fianco di Adriano Viterbini, Fabio Rondanini e Alberto Ferrari.
Quella dei Jennifer Gentle è indubbiamente una ripartenza importante all’interno di quel panorama alternative rock italiano che ha sempre guardato oltre i confini nostrani e che al di fuori di questi ha sempre saputo attirare l’attenzione su di sé.