A guardar troppo il sole si diventa ciechi. Eppure qualcuno non può fare a meno di fissarlo intensamente e d’imprimerlo in musica. Il sole dei Suntiago traccia un cammino tortuoso che parte da Roma e velocemente tocca Liverpool, passa giù per la Spagna e le spiagge di Barcellona, si tuffa nell’Africa nera e, come a Risiko, salta fino in Brasile con una facilità impressionante. Da lì è un niente per salire tutta la west coast americana, passando per la California e finendo in quel di Seattle.
Dopo il brillante Ep 12:34 di un paio d’anni fa, i Suntiago sfornano un album d’esordio che dà i brividi per la maturità espressa, la mole impressionante d’idee musicali, per la cura del suono (sentite quelle chitarre!), per lo spessore dei singoli musicisti e l’ammirevole flessibilità sonora. Prendete per esempio “Linea sottile” che parte come un funk seventies a base di slap e d’improvviso rivela un solo in stile flamenco, magistrale tra l’altro. Qualche minuto dopo, “Africa” ci coccola tra ritmi tribali e sonorità alla Vampire Weekend. Tutto ciò tra gli accenni elettronici e post rock di “Seguimi”, le pulsioni jazz di “Nausea” e il tributo percussionistico/messianico di “John Bonham” (che ricorda forse non a caso proprio gli Zeppelin meno blues di “Fool in the rain”) o l’enigmatica e sensuale “L’ultima volta”.
Senza fare una ridondante analisi brano per brano, il disco è un’incredibile tavolozza di colori brillanti e luminosi, che si uniscono e fondono alla perfezione, dove ogni suggestione, dagli elementi beatlesiani a quelli più nostrani, viene ridotta ad un’unica matrice sonora.Ogni brano, e dico ogni brano, ha una sua anima e sfido chiunque a provare ad accusare la band di poca originalità. Ma non e un caso, i quattro ragazzi sono eccellenti musicisti: Giovanni Ciaffoni, cantante dotato ed espressivo, dà la pasta sonora a base di Gretsch ed Emanuele Correani la decora di elettricità; Nahuel Rizzoni pesta e picchia sulla batteria come se non ci fosse un domani e Stefano Danese e il collante ideale per il tutto. Come se non bastasse, i Suntiago dimostrano il loro talento cantando in italiano, e dando credibilità a un certo pop rock spesso pigramente anglofono, con testi che hanno sempre qualcosa da dire, lontani dal cliché e perfino arguti (impagabili nel già citato omaggio all’irripetibile “John Bonham”). Arrangiamenti perfetti, canzoni efficaci, melodie azzeccate, groove frenetici, idee a valanga… Quante altre parole per descrivere questo lavoro? Un disco brillante, senza ombre.
Il sole dei Suntiago splende alto nel cielo.
Menzione d’onore: Ci son talmente tanti brani validi che selezionarne uno e impossibile. Correte a sentire questo album! Ora!
Riccardo De Stefano
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