– di Andrea Mauri –
Achille Lauro tiene particolarmente al rapporto coi suoi fan. Gli piace darsi appuntamento con loro, intasare i luoghi storici delle città e girare video di suoi pezzi per l’occasione.
La prima volta accadde a Milano, in una piazza Duomo letteralmente gremita dove l’ormai ex trapper romano girò il video di Thoiry Remix: una bomba.
Il secondo raduno è stato a Napoli, nei dintorni di Piazza del Plebiscito. Per riviverlo basta guardare il video di Ammò. Qui un Lauro attorniato da una tanto fedele quanto numerosa schiera di fan va a braccetto con due partenopei doc: Rocco Hunt e Clementino.
Lunedì scorso (24 giugno), il terzo capitolo: partendo dal nome del suo nuovo album “1969”, Lauro opta per una soluzione più “nature”.
Non più l’asfalto delle piazze del centro ma i verdi prati di Parco Sempione. Qui, nella cornice del Bar Bianco, Achille e la sua band mettono in piedi uno show case genuino e verace, suonano dal vivo una manciata di pezzi (più qualche bis) e fanno impazzire la folla di fedeli, ma anche di curiosi. I cameramen intanto si muovono tra la folla, filmando silenziosi. Siamo curiosi di vedere il risultato finale.
Nessuna lista, nessun accredito, nessun accesso vietato: tutti possono partecipare alla festa di Achille, a lui le cose piace farle in grande, lui è un musicista del popolo, gli piacciono i bagni di folla e non lascia indietro nessuno. Nelle sue azioni c’è la genuinità di uno a cui piace divertirsi in molti.
Riprendendo lo spirito hippy degli anni che furono, di cui il suo album è esteticamente e visivamente pregno fin dal nome, Achille Lauro con il suo terzo raduno ha dimostrato ancora una volta che la musica non può essere fatta sui social. Gli artisti non devono specchiarsi tra i riflessi di celebrità dati dallo schermo di uno smartphone.
Lo stesso Lauro, a più riprese durante il corso dello show, ha invitati i fan a tenere in tasca il cellulare e “per una volta”, a divertirsi. Come se, provocatoriamente, le due cose non possano andare di pari passo.
Mentre molti artisti sopravvivono (chissà per quanto) grazie ad attimi di immediatezza sempre uguali a sé stessi che si autodistruggeranno in 24 ore, Achille Lauro riporta “questa roba in strada” o meglio, al parco.
Già nel 1964 Herbert Marcuse ne “L’uomo a una dimensione” identificava nella tecnologia uno strumento di controllo dell’individuo. Il movimento Hippy fece delle parole del filosofo tedesco il proprio credo.
Ora io non so quanto Lauro abbia letto Marcuse, ma vedendo la sua attitudine e il suo utilizzo intelligente della tecnologia (vista come mezzo per trovarsi in un parco, in una piazza e far festa insieme), penso che al Cimitero di Dorotheenstadt di Berlino le parole di Marcuse non siano sepolte con lui nella tomba, ma vivano anche grazie ad artisti come Achille Lauro.