– di Ilaria Pantusa.
Foto di Lucrezia Testa Iannilli –
Essere al primo disco e suonare già come un classico, imprimere un segno, creare uno stile riconoscibile, entusiasmare, divertire, stabilire un contatto profondo. A Ivan Talarico tutto questo riesce con Un elefante nella stanza (Folkificio, 2019), disco d’esordio le cui 12 canzoni sono il frutto delle tante esibizioni di questi anni portate in giro per l’Italia. Alla produzione un lungimirante e attento Filippo Gatti, che insieme a Talarico ha definito un suono che fosse il più fedele possibile alla forza che questi brani hanno dal vivo.
Ma la preziosità di queste canzoni sta, oltre che nel suono tra l’acustico e l’elettronico, nei testi e nell’interpretazione di Ivan Talarico. Giochi di parole che sono come scintille e attraversano la mente accendendola, accostamenti stravaganti degni delle avanguardie storiche, onomatopee che prendono il posto delle parole. E insieme a tutto ciò più temi fondamentali che si rincorrono e impongono al pensiero: la difficoltà che a volte diventa impossibilità di comunicare, l’universo di paure e incomprensioni che abitano l’amore e la sensazione strisciante di non essere del tutto in linea con lo spirito dei tempi.
Chapeau a Talarico.