– di Sara Fabrizi –
Abbiamo intervistato Fabiano Pittiglio, cantautore di Cassino (FR) che ha esordito con un album intimista e introspettivo. Di cantastorie ce ne sarà sempre un profondo bisogno e siamo andati a curiosare un po’.
Cosa significa il nome del tuo album?
Cane Randagio è un titolo assolutamente emblematico, rappresenta il succo del disco all’ennesima potenza. Arrivato solo alla fine dell’album come per dare un tocco di cesello al mio lavoro. Rimanda ad una situazione di randagismo/nomadismo emotivo, ma anche fisico, e quindi ad uno scarso senso di appartenenza e fissità. Situazione ambivalente nella sua doppia valenza positiva (randagismo come libertà) e negativa (randagismo come scarsa stabilità). Il mio è, come si evince facilmente, un album cantautorale in cui da menestrello racconto la vita e la mia vita. La valenza “confessionale” del mio lavoro è piuttosto spiccata essendo la musica, da sempre, il mio unico vero punto di riferimento. Quindi ho iniziato a scrivere canzoni per soddisfare questo bisogno quasi vitale di raccontarmi, esorcizzando così le mie paure, il mio vissuto, anche sdrammatizzando con fare ironico e leggero, all’occorrenza. Il mio songwriting, pur essendo presente già durante la mia adolescenza, ha iniziato a dipanarsi in maniera più strutturata a partire dal 2016, anno cruciale per la mia esistenza per una serie di vicissitudini e cambiamenti che mi hanno fatto inaugurare un nuovo percorso.
Qual è il genere di riferimento e quali sono le influenze che si sono riversate sul tuo album?
L’alveo in cui mi colloco è quello del cantautorato italiano classico. Classico nel senso che ho fatto tesoro della lezione dei grandi nomi, dai più blasonati (De Andrè, Tenco, De Gregori) ai più recenti e promettenti (Niccolò Fabi, Brunori, Zibba). Autori presenti in me sia come influenze inconsapevoli sia come dichiarato intento di ispirazione. Quella del cantautorato è una tradizione da portare avanti nella semplicità. Non mi sono arrovellato il cervello nel trovare qualcosa di “nuovo” e dirompente che facesse gridare ad uno nuovo genere musicale. Certamente in fase di arrangiamenti non ho disdegnato novità e soluzioni tecnico/stilistiche per quanto possibile innovative, anzi le ho ricercate e auspicate insieme alla band che mi supporta. Per dare freschezza, originalità e un’impronta tutta mia. Ma sempre restando nella sfera della sincerità artistica che nel mio caso è, appunto, dire ciò che si pensa. Questo mood da cantastorie si è rafforzato in particolare componendo/scrivendo di notte, nel silenzio e nella solitudine della campagna. Questa essenzialità e genuinità compositiva la ripropongo anche nei miei live che sono, per lo più, di sola voce e chitarra.
Tornando alle influenze non sono da meno poi quelle provenienti dal folk e dal rock americano (Lou Reed, Bruce Springsteen, Bob Dylan, west coast rock). Gli autori che ho sempre amato e suonato in qualche modo si sono riversati nella mia scrittura.
Chi è la band con la quale hai registrato il disco e che eventualmente può accompagnarti nei tuoi live?
La band presente in fase di registrazione e che mi supporta è composta da Manuel Parisella che si è occupato di arrangiamenti, mixer e synth. E’ stato per me un vero e proprio punto di riferimento. Degli arrangiamenti si è occupato anche Vincenzo Giacomi, nonché mio batterista di fiducia. Alle percussioni e ai cori un altro musicista di cui mi fido ciecamente, Alfonso Delicato. Angelo Di Bello ha suonato l’organetto e Franco De Benedictis i fiati. Ci tengo a sottolineare che i membri della band non sono semplici colleghi ma anche miei amici personali. Il fatto che i nostri siano rapporti umani, oltre che professionali, ha certamente creato un’atmosfera di sintonia rendendo più facile la collaborazione e la riuscita del disco.
Qual è lo scopo del tuo progetto? Perché ti sei messo in gioco?
Come già accennato la molla propulsiva è stata la mia necessità di esprimermi, questo bisogno viscerale di suonare e cantare come terapia per l’anima. Sto già lavorando al secondo disco (alcuni brani già li suono nei live) quindi la progettualità della mia attività di songwriter è a lungo termine. Sarebbe bello farne la mia professione principale (per vivere faccio un altro lavoro), sarebbe meraviglioso se la mia voglia e propensione a scrivere e cantare le mie canzoni mi desse da vivere. Io cerco umilmente di dare il mio contributo all’Arte e lei mi ripaga consentendomi di continuare a farlo.
C’è o ci sono un brano o più brani emblematici nel tuo disco, che siano il suo manifesto programmatico?
Ce ne sono diversi molto caratterizzanti, tutti a loro modo. Un Passo Di Lato, che è anche il brano conclusivo, è il manifesto programmatico del mio stile cantautorale. In esso ad un livello tematico/contenutistico è espressa la sensazione di essere a casa dopo aver tanto peregrinato. La conclusione di un percorso, la pace, finalmente, nelle piccole semplici cose. Sul piano degli arrangiamenti si lega al prossimo disco, ad un nuovo viaggio e ad un nuovo mood. Come se questo brano fosse un po’ lo spin-off dell’album. Confessioni Al Caro Silvestro, uscito come singolo prima della pubblicazione dell’album, è invece il suo manifesto. Silvestro è un gatto, il mio gatto, che ha una funzione di interlocutore. A lui mi racconto, con lui mi confido, mi rimanda dei feedback quasi da psicanalista nel suo distacco e nella sua beffardaggine tipicamente feline. L’intento confessionale dell’album ruota molto attorno alla figura del mio animale domestico, silenziosa e discreta presenza dei miei momenti compositivi/creativi. Inoltre sul piano musicale questo brano ha rappresentato una sfida, ci ho lavorato sodo. Ulteriore motivo per ritenerlo la bandiera di questo mio primo lavoro. Altro brano emblematico è Notturno. In esso c’è l’espressione più pura ed autentica delle mie sensazioni e suggestioni più intime. Chitarra acustica, flauto e synth analogico ricreano atmosfere notturne ed ovattate conferendogli un’espressività diretta ed immediata. Brano portavoce, se mai è possibile, della mia anima. Infine c’è Zero. Altro pezzo cruciale nell’architettura dell’album. Scritto più di 10 anni fa, ancoraggio ad un passato remoto, rielaborazione e metabolizzazione di un’esperienza dolorosa vissuta in gioventù. La famosa funzione catartica dell’arte si esprime forte in questo che è il pezzo outsider dell’album, quasi un outtake rientratovi poi a pieno diritto.