Mescolate in un’unica ciotola del Pasolini di stagione facendo attenzione che ci sia una narcisistica ambizione di dissacrare il sacro e il profano. Amalgamate con del Ginsberg preso dalle stagioni più pulite, tra alcool di scena e quel gusto di accoppiare parole facendo del cut up intelligente, senza esagerare, trasparente quasi, per niente sfacciato. E poi prendete una musica dal sapore retrò, come i suoi video, presi da quell’Italia decisamente beat che personalmente mi figuro in quella Milano o Roma che sia a cavallo tra alta borghesia illuminata e intellettuali popolari per niente ubbidienti. Il risultato, intriso di mai secondario pop, lo troviamo nel vinile uscito per Cinedelica e INTERBEAT Records dal titolo – manco a dirlo – “Jukebox all’Idroscalo”. Lui è Marco De Annuntiis, contestatore delle forme classiche e agitatore di intelletti con quel certo modo aristocratico di cantare le parole che corre il rischio di venir deriso, ma con quell’audacia artistica che corre il rischio di far riflettere. Sono rischi appunto, o vantaggi oppure anche obiettivi… dipende da come la si guarda questa storia fatta di sano beat pop italiano. E per certi versi mi tornano alla mente i Guignol dei Navigli e per altri mi chiedo quanto la sua letteratura dissacrate – si ascolti “Come De André” tanto per dirne una – venga compresa e codificata nel modo giusto. Forse avremmo richiesto una più spudorata irriverenza alla forma pop visto che il carattere che sfoggia De Annuntiis se lo può – anzi forse se lo deve – permettere. E pensando a me che aspettavo di vedere in frantumi il tanto atteso “ritornello”, ecco che arriva l’ultimo singolo lanciato su YouTube che in verità alliscia il pelo e fa il verso ai cliché. E non è una pecca: perché Marco De Annuntiis se lo permette con agio e facilità, visto la mole di personalità che mette in campo. In fondo, forme a parte: è l’avere personalità che fa male ai cliché e alle mode del mercato.
Primo disco. E non sei affatto un emergente e non sono queste le tue prime scritture. Scrivere, per Marco De Annuntiis, cosa significa?
In passato mi nascondevo dietro al nome di una band proprio perché avevo paura di espormi. In effetti proporsi come cantautore è diverso, la prima cosa è sentirsi credibile per essere credibile per gli altri. Mi piacerebbe però continuare a scrivere canzoni per altri, credo che mi sentirei più libero.
Una canzone come “Come De André” per molti risulterebbe un oltraggio al bene comune. Una sfida al cantautore o all’omologazione?
È una provocazione: la società di oggi è tutta improntata alla sbruffoneria, è lo specchio etico e linguistico dell’individualismo selvaggio dei nostri tempi. I rapper per esempio non fanno altro che celebrare sé stessi, dire che fanno rime migliori dei colleghi, che guadagnano più soldi, che si scopano più ragazze compresa la tua, etc… pensai che sarebbe stato spiazzante fare un’operazione simile in una variante intellettuale. Perché finché Cristicchi cantava “Vorrei essere come Biagio Antonacci” era chiaro che scherzasse; ma se alla gente ti azzardi a toccargli De André…
E secondo te, proprio restando in tema, è stato sopravvalutato Faber?
Si può essere sopravvalutati e sottovalutati allo stesso tempo, sono entrambe maniere di metterti fuori gioco (cosa che con i morti è anche facilissima): in fondo quando uno lo definisci un “poeta” in realtà lo stai già squalificando, lo poni su un piano in cui tutto ciò che dice diventa innocuo. Salvini è stato criticato per aver cantato De André in un comizio, in realtà credo che la maggior parte della gente non veda nessuna contraddizione: pensano che un conto sia l’arte e un conto la vita, da una parte ci sono le belle parole e dall’altra la dura realtà dei fatti.
E allora cosa ci dici dei poeti di oggi che vincono il Tenco e che vanno a Sanremo? Che ci dici della musica italiana?
Immagino che un tempo andare propriamente a Sanremo, in febbraio, o andarci a settembre per il Tenco fossero due cose in opposizione. Oggi francamente non mi pare che sia così. La contrapposizione fra rock e pop come l’abbiamo intesa fino adesso non esiste più. Oggi gli adolescenti delegano alla trap sia la trasgressione che il conformismo, quindi per loro ha sostituito sia il rock che il pop.
Chi ha la possibilità di andare a San Remo fa bene a farlo, almeno lì chiedono brani originali e non cover come nei talent-show! Sono tutte vetrine, grandi o piccole, perfino questa intervista lo è.
“Jukebox all’Idroscalo” ha con se un mare di citazioni che penso, se mi concedi la cattiveria, vengano perdute lungo la strada dall’indifferenza e dall’ignoranza diffusa. Penso che Pasolini lo si conosca ormai solo di fama. E quindi che forza e che attenzione ti aspetti di ricevere da un simile disco?
Il fatto è che oggi tutta la musica è “di nicchia”, anche quella che in teoria sarebbe di successo, quindi tanto vale che ognuno dica quello che gli pare. La vera domanda piuttosto è un’altra: abbiamo veramente bisogno di canzoni nuove? oppure ne abbiamo abbastanza e possiamo tranquillamente farci bastare quelle del secolo scorso? Se vogliamo ancora canzoni bisogna che qualcuno si ostini a scriverle, anche a dispetto di un mercato sfavorevole.
Ti lancio una frecciatina appuntita: difenditi come vuoi. Da te mi sarei aspettato molto meno pop, inteso come cifra stilistica… mi sarei aspetto più fumo e meno ritornelli… che mi dici?
Capisco… ma è un po’ come se mi dicessi “oh, pensavo che i veri cantautori avessero la barba!”
Nessuno suona per annoiare, tutti cercano di essere accattivanti a loro modo. Per un musicista poi è doppiamente importante vestire con eleganza e avere un buon dopobarba: già siamo considerati degli illusi, dobbiamo sradicare l’idea che siamo dei morti di fame.