– Di Giacomo Daneluzzo
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L’album proposto questa settimana è Il robot che sembrava me, del trio bolognese Le Frequenze di Tesla. Nel corso di dieci tracce si può osservare uno sperimentalismo tanto linguistico (come, ad esempio nella canzone Futuro felice, il cui testo è scritto usando esclusivamente parole che iniziano per F) quanto sonoro.
La ricerca di novità a livello sonoro de Le Frequenze di Tesla è arrivata a un punto interessante: partendo da un pop-rock minimale si aggiungono chitarre elettriche, ma anche sonorità più elettroniche, più digitali (sintetizzatori, minimoog e tastiere elettroniche), così da avere un effetto sempre ibrido, a metà tra l’elettrico e l’elettronico, attraverso i curatissimi arrangiamenti.
Le Frequenze di Tesla raccontano con testi piuttosto ermetici un mondo digitalizzato, in cui si possono trovare robot umanoidi (o umani robotici), come nella title track, e molto altro, su basi di un pop-rock dalla forte tendenza a sperimentare, a cercare di proporre, in ogni traccia, qualcosa di nuovo e – soprattutto – inaspettato. E solitamente ci riescono: dai riff vicini all’hard rock di Borderline fino al pianoforte di Le migliori evidenze, l’intero disco è un susseguirsi di colpi di scena dal punto di vista musicale, di elementi di originalità che inaspettatamente si rivelano ad ogni traccia.
Un album che parla al presente, che riprende parecchie sonorità “d’altri tempi” e ci gioca, le trasforma, le rimodula, rendendole nuove e contemporanee secondo modalità molto originali.