• di Giuseppe Zibella
Lasciatevi travolgere dall’oscurità, il sipario nero è stato aperto da due mani bianchissime e c’è un invito ad oltrepassarlo, fino ad abbracciare il buio dietro di esso. Knocturne segna il ritorno dei Be Forest, il trio pesarese dall’impronta dream pop che ama nuotare nello shoegaze. Il lavoro, se non fosse suddiviso in tracce, suonerebbe come una lunga suite in cui la band ci prende per mano e ci fa sprofondare con lei nell’abisso profondo. Sin da Atto I si varca il confine tra luce ed ombra, in un rapido strumentale dall’aria post punk dove le chitarre riverberate rilasciano note e il basso cadenza passi nell’ombra. All’introduzione si allaccia il cantato di Empty Space, appena soffiato come leggera brezza che sveglia da un torpore onirico. Sigfrido, primo singolo estratto, riesce nei suoi cinque minuti a delineare la fisionomia dell’intero album. Abbandonate le terre gelide di Cold e quelle tribali di Earthbeat, i Be Forest scelgono come scenario di Knocturne un bosco privo di sentiero o un teatro vuoto senza luci, ambienti di Lynchana memoria dove avanzare e mai indietreggiare.