– di Riccardo Magni.
Foto di Gian Marco Volponi –
Una grafica elegante ed essenziale, come consuetudine, proiettata alle spalle della batteria, che riporta solo UMG ed in piccolo, FM, tra due allori intrecciati su sfondo nero. Anche il palco appare ordinatissimo, con ogni cosa al suo posto pronta a fare il suo dovere nel solito impeccabile modo alla Umberto Maria Giardini, che sale di nuovo sul palco del Largo venue, dopo l’ultima volta con gli Stella Maris, per presentare a Roma il suo ultimo bellissimo album Forma Mentis, uscito a febbraio per Ala Bianca Records.
Entrano i musicisti, Paolo Narduzzo al basso, Marco Marzo “Maracas” alle chitarre, Cristian Franchi alla batteria, e poi Umberto Maria Giardini, che imbraccia anche lui la sua chitarra e prende posto sulla destra.
Si parte con Alba Boreale (dal precedente disco Futuro Proximo) e poi arriva Luce, la prima in scaletta dal nuovo album (“No che non verro’ al mio funerale, credo piangerei come il temporale”).
Si entra immediatamente nel mood: chi ha ascoltato Forma Mentis sa, o almeno dovrebbe, che sentirà le chitarre, forti, corpose, come ormai si sentono in poche occasioni. Ed i concerti di UMG sono sempre un’ottima occasione per riconciliarsi con quel suono che è stato la colonna portante di quella musica che ha fatto innamorare di se la mia ed almeno altre due o tre generazioni prima (e qualcuna per fortuna anche dopo). Poi il basso di Paolo Narduzzo aggiunge la sua perfetta profondità e la batteria di Cristian Franchi trascina nella sua magia primordiale (le percussioni sono probabilmente la prima musica prodotta ed ascoltata dal genere umano, impossibile sottrarsi al retaggio emozionale che evocano), sia quando picchia forte, sia quando sostiene gentile le chitarre.
Il pubblico accenna le parole di ogni canzone, canta qualche verso, ma per lo più ascolta. Le canzoni le conoscono tutti, è evidente, ma il concerto di UMG non diventa mai un grande karaoke, chi è lì per lui, vuole godere della sua musica e della sua voce, forte e particolarmente carica nella serata del Largo, che quasi contrasta con la sua figura gentile ed educata, che mette in mostra ogni volta che ringrazia per un applauso: “Grazie, molto gentili, grazie…”.
Ed il silenzio con cui si attende il pezzo successivo ogni volta che finisce un brano e scemano gli applausi è quasi religioso, come a ribadire che siamo lì per lui, per Umberto, per la musica e le emozioni che trasmette, non per fare presenza ad uno dei mille live “modaioli” in cui la musica troppo spesso è purtroppo relegata a pretesto per una serata mondana.
Cristian Franchi lascia momentaneamente palco e batteria mentre Umberto imbraccia la chitarra acustica al momento di Le colpe dell’adolescenza, seguita da Pronuncia il mio nome, durante la quale Franchi torna alla batteria per il finale (magnifico).
Con Tenebra e Pleiadi in un cielo perfetto Umberto saluta momentaneamente il suo pubblico e la band torna nel backstage. Pochi minuti, tre o quattro al massimo, e tutti tornano al proprio posto. Nessuno in sala si è mosso. Ripartono i chitarroni, risuona un altro riff, stavolta è quello della title track Forma Mentis con cui si apre il bis, che poi si chiude con L’ultimo venerdì dell’umanità (da La dieta dell’imperatrice, del 2012) prolungato da una lunga, sontuosa coda strumentale.
Umberto Maria Giardini saluta e ringrazia con la solita classe, il pubblico applaude sazio di note ed emozioni. Ed in realtà l’idea che si fa strada velocemente, è che a ringraziare dovremmo essere noi.