– Foto di Simone Cargnoni –
Ho aspettato per scrivere de Il Nuotatore, sto cercando prima di metabolizzarlo. Sto mangiando lentamente questo pasto. La prima fase della digestione è la bocca e io lo sto gustando. Pian piano lo sto assorbendo come elemento nutritivo per il mio corpo. Sta diventando una piccola parte dei me. E proprio ora, che sto finalmente trovando le parole per esprimere in modo ordinato la mia sensazione suscitata da questo disco, ho avuto l’occasione di poter confermare o smentire le mie impressioni direttamente con Emidio Clementi. Ecco il risultato della mia buona chiacchierata con Mimì.
Un’attesa lunga sei anni, nessun singolo di anticipazione, è uscito intero nel suo essere unito, proprio come un romanzo: infatti è tutto legato dallo stesso filo logico e, come un racconto, ha la propria copertina, una citazione appropriata e i capitoli che sviluppano una storia. In questi anni non sei stato fermo, ci sono stati un romanzo e dei dischi. È stato quasi un naturale volere questo tempo? Una ricerca del suono e delle parole? Nasce così Il Nuotatore, un disco che, proprio come i Massimo Volume, è tra gli altri ma fuori dagli altri?
Non voglio né sminuire né banalizzare il nostro lavoro. Il fatto che siano passati sei anni fa sembrare che sia un disco molto meditato, con un filo conduttore, con una chiarezza espositiva, ma in realtà, finita la tournée di Aspettando i Barbari, avevamo voglia di uno sciogliere le righe generale e, quindi, un periodo lo abbiamo passato vedendoci ma non in sala prova, non pensando al disco. Poi, a un certo punto, ci siamo rimessi sotto negli ultimi due anni. Io ho accumulato tutti i testi, cosa che non mi succede mai, alla fine del lavoro. Abbiamo scritto prima le parti musicali, poi i testi. Però anche le considerazioni sui testi e sui temi che tornano sono tutte questioni che sono venute alla fine del disco. Per esempio un elemento è quello dell’acqua, un elemento è quello del freddo, un elemento è quello del desiderio: però io, lì per lì, cercavo solamente un filone che mi potesse portare da qualche parte, attraverso delle immagini, attraverso delle piccole considerazioni che hanno acceso la creatività verso la scrittura. Ma è stato un disco meno meditato di quello che appare. Anche la scelta di non uscire con un singolo ce ne siamo resi conto quando è uscito il disco, dire “porca miseria, di solito si fa uscire prima il singolo! Ma non c’è tempo, manca una settimana. E vabbe’ facciamo uscire così!”. Non abbiamo fatto un video, ma lo faremo, non c’è stato tempo di farlo in quel momento. Quindi anche le circostanze hanno avuto un loro peso nella scrittura e poi anche nella promozione del disco. Poi mi fa piacere, è giusto pure cavalcarlo, il fatto che sembri tutto piuttosto calcolato. In realtà lo è molto meno di come appare.
È uscito coerente in una maniera naturale si può dire? Questa coerenza fa che in qualche modo possa sembrare calcolato.
È vero perché poi musicalmente sappiamo suonare in una certa maniera e abbiamo suonato in una certa maniera, considerando che lo abbiamo composto in tre. Probabilmente anche nei testi ci sono dei temi che, senza rendermene conto, però forse sono una mia piccola ossessione e, alla fine, parlo di quello che mi interessa o che perlomeno sento la necessità di raccontare.
Parliamo della copertina: una spiaggia affollata da persone sole. Oltre a essere un chiaro riferimento alla società, l’ho riportato, in una maniera del tutto personale, all’attuale scenario musicale: un groviglio di copie carbone accecate da individualismo, che poi, appunto, è la malattia moderna. La smania dell’affermarsi senza costruire. L’ho resa troppo greve come interpretazione? Inoltre, guardare quest’immagine mi ha ricordato la visione di Las Meninas di Velázquez, il quadro che gioca con il riflesso dello specchio, riconsegnando una metarealtà che lascia l’amaro in bocca per la domanda che ne consegue: sono attore o sono spettatore? Che è una domanda estremamente esistenzialista. Questo disco è esistenzialista?
All’inizio, pensando alla copertina, siamo partiti con un’idea più didascalica, cioè, visto che c’è quest’immagine evocativa del nuotatore, abbiamo cercato proprio delle piscine, della gente in acqua che nuotasse. Poi, in realtà, c’era anche bisogno di allargarlo come senso e l’idea che ci sia una spiaggia affollata, dove il mare si vede solo in un angolo, ci sono dei bagnanti però nessuno è in acqua, ci pareva anche un’idea un po’ per forzare il titolo, per dargli più risalto. Rispetto a quello che tu dici sulla costruzione: costruire qualcosa credo ci renda vivi, bisogna darsi da fare. Per esempio, ora c’è il disco, è uscito, è bello perché è qualcosa nel fare, nel costruire qualcosa di finito e ci siamo arrivati. Dall’altro lato c’è un senso di vuoto, perché adesso c’è questa parte promozionale, ci sono le date, però è vero che si porta in scena qualcosa che è un cadavere. Io ho quell’ansia di dire “ah, però non ho tempo per mettermi a fare quello che più mi rende libero”, che è il lavoro creativo, ma è anche giusto, visto che ci abbiamo messo così tanto tempo, spargere questo lavoro nel mondo il più possibile. Però è vero che la cosa ce a me piace di più è lavorare sui pezzi, su un romanzo, su dei racconti, quindi quel lato lì un po’ mi manca, quello è ciò che mi fa sentire più vivo.
Per quanto riguarda l’interpretazione: per esempio, nella frase di Amica Prudenza che dice “ho imparato a naufragare senza perdermi nel mare”, c’è chi ha voluto leggerci dentro tutta la grande odissea dei migranti. È ovvio che se qualcosa esce fuori è giusto, anzi vivifica il testo, il fatto che ognuno possa interpretarlo nella propria maniera. Ho anch’io, da lettore, un quaderno dove appunto tutte le frasi che mi hanno colpito, che posso riportare a me, alla mia esperienza, a quello che ho vissuto, però è un’operazione che poi l’autore potrebbe disconoscere. Il senso ultimo del perché si fanno le cose e poi si pubblicano è questa possibilità del senso di immedesimazione, poi poco importa se non è corretta, l’importante è che ci emoziona o ci fa riflettere, ma è giusto che ci sia la tua interpretazione e l’interpretazione anche di un altro.
Il Nuotatore è il riferimento a quello di Cheever, “l’uomo che prova un disprezzo inspiegabile per quelli ce non sanno tuffarsi”. Il libro è la descrizione dalla maturità al declino, con i riferimenti al rapporto fallimentare di un uomo con la moglie, con un epilogo che è la scoperta di quasi l’orrore. La paura che scostando il velo sul mondo, dietro si possa trovare il vuoto. Ma il disco non parla solo di solitudine. Vi è un messaggio di riscatto? I personaggi si mettono comunque in gioco pur rischiando di fallire?
Forse si può legare Il Nuotatore alla frase che dico in Fred “la verità è brutta”, è lo stesso tema alla fine. Poi è vero che non la vedo come una dimensione negativa quella di costruirsi anche delle maschere, di proteggersi, perché, appunto, la verità è brutta. Non sappiamo l’opinione che gli altri hanno di noi, non sappiamo cosa pensa la gente, anche le persone più intime, perché hanno un’esistenza diversa dalla nostra. Io non penso che la vita del protagonista de Il Nuotatore sia una vita terrificante, è quella che c’è all’inizio del racconto: frequentano i vicini, vanno alle feste. Lo scoprire una realtà diversa, più inquietante, quando questo velo vola via, è un buon processo di conoscenza, che uno può scegliere di fare o di non fare. Io capisco chi non vuole farlo, perché mediamente è doloroso, però ti aggiunge qualcosa nel conoscere l’esistenza. Mi è capitato di dire che, alla fine dei miei giorni, tra la felicità e la conoscenza, credo di preferire la conoscenza, quindi quel velo mi piace toglierlo. Poi quello che c’è sotto può essere anche molto inquietante, ma il processo di conoscenza è spesso un processo di inquietudine. Ma questa è forza dinamica. E’ una malattia non provare dolore, ci sono quelli che non provano dolore fisico, ma se non provi dolore non riesci a proteggerti. La paura è utile, è un segnale di allarme, di cambiare strada, di adattarsi a quella situazione. Abbiamo bisogno anche del negativo del mondo.
Domanda di curiosità: chi a scelto la citazione di Deleuze? La frase di Deleuze non si riferisce al saper nuotare come vincere sull’acqua, ma essere in sintonia con le variazioni. Saper nuotare significa la conoscenza di reggere questo ritmo, cioè costruire un rapporto.
È venuta dopo che abbiamo deciso che Il Nuotatore sarebbe stato il titolo del disco e, quindi, anche per uscire da quell’idea didascalica che ti dicevo prima. Avevo letto qualche tempo prima Cosa può un Corpo di Deleuze: lì c’è riportata proprio quest’idea di conoscenza, appunto, quella che si instaura con l’acqua e mi sembrava anche questo un modo per riuscire ad ampliare ancora di più il senso del titolo.
Il nucleo è il classico vostro trio: tu, Vittoria e Egle. Si aggiunge Sara Ardizzoni. Questo a conferma che siete evoluzione, che vi adattate all’esigenza di nuove prospettive. In questo senso si è unita Sara? E, a proposito di adattarsi, anche la scelta di fare un tour nei teatri tratta di questo? Per me il teatro è molto intimo, come vedo voi.
All’inizio, quando abbiamo deciso, in un primo momento avevamo pensato di usare un altro chitarrista o un’altra chitarrista, anche per la fase compositiva, di scrittura. Quando abbiamo deciso di fare il disco in tre, a un certo punto Egle, prima di entrare in sala di registrazione, ha aggiunto tutta una serie di chitarre. Abbiamo un repertorio pensato per due chitarre, quindi abbiamo avuto l’esigenza di un quarto elemento. Sara ci è piaciuta subito: il suo stile, tecnicamente è molto brava e le parti di chitarra di Egle non è che siano semplicissime. Ci piaceva anche l’idea che alla fine saliamo sul palco e siamo due maschi e due femmine, fatto che non è stato centrale, l’importante è che uno sappia suonare e in quel senso Sara ci ha dato grandi garanzie. Abbiamo fatto la scelta giusta. Poi, in un futuro non so cosa succederà: rimarremo in tre, ci serviremo di chitarristi… chi lo sa!
Anche la scelta dei teatri è stata una circostanza. Abbiamo ricevuto la proposta dell’Auditorium di Bologna, il Manzoni, per la data di apertura del tour. A quel punto abbiamo pensato che potesse essere un’idea quella di fare una prima parte di tournée esclusivamente nei teatri, dove si paga un po’ un fatto. Tu prima parlavi di intimità, ma io la sento più nei club, perché c’è un’intima col pubblico, perché il pubblico è vicino, tu capisci mediamente quello che sta provando, almeno rispetto a quelli ce stanno nelle prime file e c’è uno scambio maggiore. In teatro fai fatica a interpretare come il pubblico sta vivendo quel momento, lo spettacolo. E, quindi, secondo me, sarà necessario crederci ancora di più, cioè credere in noi stessi, credere in quel momento, credere in quello che portiamo in scena, ma il pubblico sarà distante, lo senti solo quando arrivano gli applausi. Alla fine del concerto c’è ci ti viene a salutare e a dirti che è stato molto intimo, però durante il concerto c’è una certa distanza. Spero che non la pagheremo più di tanto, anche se siamo abituati a suonare anche nei teatri. Certo che se dovessi suonare l’ultimo concerto della mia vita, credo che preferirei il club.
Ho sentito chi ha definito questo disco “lento”, molti si aspettavano uno shock e così non è stato e vari “blabla”, come li chiamo io. L’ho trovato molto più morbido di Aspettando i Barbari, vero. Ma, come dici tu, è “più sensuale”, una voce pacata e curata tra tanto urlare. Poi io non lo vedo una rottura, anzi. Si può dire che questo disco è un ritorno al puro suono e alla pura parola?
È anche un po’ come vuoi vederti. Non mi ci vedo più tanto se penso ai lavori precedenti, sono stagioni diversa dell’esistenza. Secondo me abbiamo mantenuto una natura ance elettrica. Il disco è stato accolto molto bene, al di là delle nostre aspettative, ognuno poi dice sempre la sua, ma come può succedere a me quando vedo qualcosa e parlo e critico. Non puoi mai mettere d’accordo tutti. E poi si accettano le critiche, ogni tanto si ci incazza, ma fa assolutamente parte del gioco. Il lavoro creativo porta quello: gli altri giudicano quello che fai e certe volte è sgradevole, ma è inevitabile.
– LEGGI ANCHE LA NOSTRA RECENSIONE DE “IL NUOTATORE” –
I Massimo Volume saranno in concerto questa sera all’Auditorium Parco della Musica (Sala Petrassi) a Roma. Qui tutte le info ed i collegamenti per le prevendite: EVENTO FACEBOOK