_ di Riccardo Magni.
_ foto di Adila Salah
Il percorso di Sergio Noya è sottolineato da una grande maturità artistica che si percepisce soprattutto dalle sue doti di scrittura, che si sviluppa per immagini. Raccontando in prima persona la sua vita, il cantautore accompagna l’ascoltare a fare luce su quelle abitudini che, attraverso le canzoni, quest’ultimo scopre essere anche le sue; quelle abitudine che, se ci si ferma ad assaporarle, vengono liberate dal caos e dalla frenesia degli stimoli quotidiani.
L’album Stelle e Popcorn caratterizzato dal lato autorale di Sergio Noya, ben si presta all’incontro con la produzione artistica di Annachiara Zincone e alla supervisione dell’amico Giampaolo Rosselli. Il risultato di questo lavoro è una miscela di cantautorato che strizza l’occhio alla tradizione, senza tralasciare la modernità di certe soluzioni sonore che lasciano scaturire un urlo efficacemente indirizzato come le chitarre elettriche che ne contraddistinguono gli arrangiamenti.
Ne parliamo con lui, dopo l’esibizione di un paio di settimane fa a Spaghetti Unplugged.
La tua scrittura pesca dall’epoca dei grandi cantautori italiani e si differenzia dal contesto molto giovanilistico che al momento va per la maggiore, anche in contesti come Spaghetti che però ha il merito di offrire uno spazio importante ed un pubblico che apprezza:
Io ho avuto la fortuna di essere il quarto figlio di una famiglia che adora la musica, quindi ho ascoltato indirettamente il cantautorato degli anni ’70, l’ho respirato molto, poi se l’ho anche solo in parte assorbito e la mia scrittura ci si avvicina mi fa piacere. Ero molto piccolo quando ascoltavo questi autori, Lucio Dalla su tutti, ma anche De Gregori, Roberto Vecchioni… le immagini che loro offrivano lasciavano molto spazio all’immaginazione di chi ancora non era consapevole di ascoltare una musica.
Gli ascolti che si fanno da piccoli restano impressi a fuoco, e questa è una responsabilità enorme dei nostri genitori…
Esatto. Io avevo mio padre chitarrista, mia madre suonava il pianoforte, ed un fratello di dieci anni più grande che aveva i vinili di tutti questi cantautori. Mi ricordo su tutti Banana Republic di Vasco Rossi, del ’79, aprivi questo doppio album e vedevi l’immagine dello stadio pieno durante il tour che era affascinantissimo. Avevo questo eco, e l’influenza di mia sorella che invece era una Duraniana sfegatata ed a dieci anni mi portava sotto gli alberghi a cercare di parlare con Simon Le Bon. Vedendo tutto questo mi veniva una gran voglia di scrivere canzoni.
Alla tua età nella vita c’è la famiglia, c’è un figlio, ci sono cose che ti fanno guardare la realtà con occhi diversi da come eri abituato a farlo pochi anni prima.
Esattamente, poi il fatto è che quando ho scritto queste canzoni non avevo alcuna idea di farne un disco, quantomeno un disco che avrei cantato io, perché invece mi era capitato i scrivere per altri in passato. Per cui sono stato piuttosto diretto perché l’idea era di farle restare private e cantarle in un contesto domestico, insieme a mio figlio, che si diverte molto a sentirsi citato nelle canzoni, se non addirittura ad intervenire con la sua scrittura.
C’è anche un pezzo scritto con lui…
Si: “il coccodrillo che mangia borse, mentre una mantide sta pregando, un’astronave sta partendo. E noi la stiamo quasi raggiungendo” è una frase sua.
Eppure sembrava una citazione di De Gregori
Beh si, diciamo che è la chiusura di queste immagini che mi ha dato lui.
L’aria generale del disco sembra essere nostalgica, ma offre punti di osservazione della realtà e del futuro forniti da uno sguardo nuovo, che trova nuovi stimoli e nuova bellezza. Potremmo dire che c’è dell’ottimismo…
L’ho vissuta come una presa di coscienza del diventare grandi. Quando eravamo piccoli pensavamo che gli adulti fossero molto più grandi di quello che siamo diventati noi da genitori, da mariti, da uomini che vanno a fare la spesa o che devono pagare un affitto. All’inizio sono stato completamente disorientato da questa realtà, il matrimonio è stato repentino, poi è arrivato un figlio… Nel momento in cui mi sono reso conto che poteva essere bello e divertente anche fermarsi ad assaporare la realtà degli adulti, l’ho trascritto con una consapevolezza che a me dà gioia. Poi ovviamente sono fotografati anche momenti un po’ nostalgici in alcuni punti, ma in ogni testo c’è sempre qualcosa di proiettato al positivo e spero che negli undici brani questo venga fuori.
Il disco, Stelle e Popcorn, è uscito ad inizio estate, lo hai presentato e suonato più volte live. Che programmi hai per la stagione invernale?
La presentazione è stata un momento molto bello, al Lian Club, su questo barcone sul Tevere, dopo dieci anni in cui non mi esibivo e non prendevo una chitarra in mano, quindi è stato per me un momento forte a livello emotivo. Però c’è stata una bella risposta sia dal pubblico presente che poi dalla stampa che ha apprezzato questo lato cantautorale, il che ha dato energia e spinta a questi live che stiamo portando avanti, che trovo estremamente divertenti nonostante sia impacciato e timido sul palco. Ma mi fa comunque piacere che si noti come la timidezza del palco derivi dal fatto che tutto è autobiografico al cento per cento.
Com’è stato rimettersi in moto e ricalarsi nella dimensione del musicista?
Inizialmente non ci pensavo e non ci credevo. Quando me lo hanno proposto, Annachiara Zincone, Giampaolo Rosselli, poi sono arrivati Adila e Francesco (Noise Symphony) a dare ancora più energia al progetto. Dapprima c’era la paura di doversi nuovamente spogliare, perché col tempo, lavorando, ci si inaridisce un pochino per essere compatibili con il contesto in cui si vive, invece andare avanti mi ha dato molta energia, in questi mesi sono già nati una ventina di brani nuovi e quindi ora l’idea è quella di andare avanti e non fermarsi a questo.
E’ faticoso quindi, ma è allo stesso tempo carburante vitale…
E’ faticoso l’output diciamo, per quanto riguarda invece la scrittura, quella è una cosa costante e spontanea. Aver fatto un disco ed andare a suonarlo in giro, ti dà l’energia per credere in quei pizzini che hai nelle tasche in ogni momento della giornata pronti per diventare canzoni. Per cui è un po’ faticoso per me stare sul palco ma è necessario per continuare a lavorare su qualcosa che possa essere condiviso. Perché la musica di base è condivisione, come mi ha detto in un momento di tranquillità Giampaolo Rosselli: “Sergio, non puoi pensare di scrivere le canzoni ed ascoltarle solo tu”. Ed ora sta iniziando a diventare divertente…
La risposta che ti arriva dal palco quindi, te la dà questa energia?
E’ bello ci siano delle persone che ascoltano e che il giorno dopo mi contattano per fare delle domande, ed in questo devo dire che Instagram è uno strumento che da semplice utente sottovalutavo, ma che invece da musicista mi fa rendere conto che le persone vogliono relazionarsi, vogliono sapere. Leggere uno sconosciuto che ti scrive e che magari ha condiviso un momento con altre persone con una tua canzone, è emozionante e ti fa venire voglia di andare di nuovo sul palco a cantare di fronte a sconosciuti.
A proposito di Instagram, come risponde il pubblico più giovane di te, in teoria toccato relativamente dalle tematiche dei tuoi pezzi?
Devo dire che c’è una risposta da parte soprattutto di persone giovani sui social, addirittura, in maniera molto tenera, un quindicenne mi ha attribuito l’aggettivo youtuber, che per lui era estremamente positivo… Incontrarmi con questo mondo, un ragazzo di quindici anni potrebbe essere mio nipote, mio figlio ne ha otto, per me è stimolante e divertente, è carino poter essere coinvolti dalla loro curiosità.