di Federico Guglielmi.
Sebbene si sia arrivati alla terza puntata, di “indiesfiga” propriamente detto non si è parlato, né lo si farà qui; non si è infatti ancora conclusa l’analisi dei prodromi del fenomeno, avviata focalizzando l’attenzione su
Le Luci della Centrale Elettrica (qui l’articolo) e Dente.
A favorire ulteriormente la propagazione della piaga fu l’uscita nel giugno 2009 di Vol.1, il debutto di Dario Brunori in arte Brunori Sas, ennesimo cantautore “nascosto” – lui meno di altri: almeno, ci ha messo il (cog)nome – dietro una sigla da band. Edito dall’etichetta indipendente Pippola Music, l’album ottenne il plauso pressoché unanime della critica – Premio Ciampi e Targa Tenco come migliore esordio dell’anno, mica bruscolini – e servì da base per un lungo tour con il quale l’allora quasi trentaduenne cosentino acquisì popolarità fuori dal circuito “alternativo” e non solo al suo interno.
Essenziali e un po’ ruvidi, quei brani di Brunori vantano testi efficacissimi nel dipingere quadretti di vita vissuta intrisi di maggiore o minore nostalgia, a loro modo poetici e più ponderati/ricercati di quanto si potrebbe ritenere di primo acchito. Testi che suscitano istintiva simpatia – come il loro autore, che sul palco sa sempre essere comunicativo e divertente – e che conquistarono tanti anche per il modo apparentemente senza filtri con il quale venivano intonati, talvolta con un approccio graffiante e “sgarbato” che fece fiorire paragoni non pretestuosi con il corregionale Rino Gaetano, vivissimo nella memoria collettiva a dispetto della prematura scomparsa nel 1981.
Può sembrare bizzarro, ma il successo di quel Brunori lì – comprensibilmente diverso da quello attuale, assai più maturo – accese nella mente di troppi suoi aspiranti colleghi la temibilissima scintilla dell’emulazione, la sindrome del “se è andata bene a lui, perché non potrebbe capitare a me?”. La risposta logica da darsi sarebbe stata “perché lui ha talento e tu no, mezza sega, trovati un lavoro vero invece di sognare una carriera da artista”, ma disgraziatamente la storia degli ultimi anni ha dimostrato che il talento, pur non essendo un optional superfluo come l’accensione automatica dei tergicristalli dell’auto, non è indispensabile come sarebbe sacrosanto che fosse. Probabile che Dario Brunori, o Brunori Sas che dir si voglia, non si sia reso conto dei danni causati e questo, assieme alle medaglie poi conquistate con merito sul campo, lo deve esentare dall’essere bersaglio di eventuali censure al grido di “dagli all’untore!”.