Il nuovo disco di Rita Zingariello si intitola “Il canto dell’Ape” ed è proprio questa la percezione che arriva dopo l’ascolto di questi 12 inediti scritti da un pugno gentile, intimo, desideroso di spazi brevi e silenzi personali. Ricerca di se prima di ogni cosa. Sarà la produzione poi a incorniciare il suono in uno spazio ampio che quasi sembra stridere con il bisogno di intimità. Sono canzoni pulite ed eterogenee, un cantautorato ricco di contaminazione. I due video rilasciati in rete (la title track del disco e l’ultimo singolo “Ballo ferma”) sembrano cadere nella “plastica” d’autore (e con questa parola definisco uno scenario industriale assai di qualità ma che prevede quella fermezza di gusto ampiamente rivolto ad un pubblico abbastanza grande). Questa voce sottile e sinuosa si poggia in dinamiche quasi a ricordare quella sicurezza tonale di Mina. Ma il disco spazia, come dicevamo, e non è certo l’omologazione il suo obiettivo. Bellissima “Spalanca” con questo humus di puro blues per mano di dobro sotto che vive la pancia e un drumming quasi casuale di suoni. Interessante questo brano nell’apertura dell’inciso dove sembra sfogliare la bellezza melodica di Elisa, ma con un mestiere coerente di gusto bohémien com’è stato fino ad ora, senza mai eccedere e svendersi al pop di plastica (questa volta in senso negativo). Più di altri questo è il brano che insegna come conservare personalità anche in una scrittura che avrebbe promesso sint e batterie digitali dal primo istante. Così altre soluzioni estetiche interessanti le ritroviamo quasi ovunque ma io sottolineo “Il gioco della neve” con questa milonga che va a citare sfacciatamente i Gotan Project. La bellezza della chiusura di questa lunga ed intensa track list con “Risalire” è quel volo a planare per scoprire che l’infinito sarà proprio casa nostra. Rita Zingariello firma un disco che ci restituisce l’importanza del viaggio per ritrovare noi stessi.
Quanti dettagli avete curato in questo disco. D’altronde tu adori i dettagli. Ma è tutta farina del tuo sacco o è farina anche di incontri e di dettagli altrui?
Tutto parte dalla mia smania di non riuscire a stare ferma. Ho il cervello sempre in fermento, studio, ascolto, leggo e mi ispiro… poi chiamo le persone che stimo artisticamente e discutiamo delle idee che in questo caso hanno preso la forma di un disco finito solo dopo mesi di confronto.
Quanto conta per te l’estetica di una canzone? Da questo disco sembra davvero tanto visto com’è coccolata. Ma dalla tua letteratura direi che ami molto più guardare il significato più che alla forma… sbaglio?
La forma è un aspetto importante. Il significato lo è di più… ma sono convinta che una copertina tenuta bene e il profumo della stessa possano convincere ad aprire il libro con maggiore curiosità.
Lennon diceva: all’artista si deve richiedere solo la creazione non la performance. L’artista è un genio creativo e non un performer… tu cosa ne pensi?
Amo il momento in cui scrivo le canzoni così come amo il momento in cui le porto in scena. Non è detto che un creativo sia al tempo stesso un bravo performer ma un cantautore deve fare entrambe le cose. Sarà poco artistico ma gli tocca.
Vorrei invitarti ad un’analisi che mi viene ascoltando molte canzoni di questo disco, come “Preferisco l’inverno”: il canto di un’ape è cosa assai piccola e inesistente. Ma non è il suono piccolo che celebriamo, quanto il peso importante che ha nella catena del tutto…
Attraverso l’immagine del suono dell’ape sono riuscita a portare fuori da me una serie di considerazioni che sopivano all’interno. E’ stata quella piccola cosa il pretesto per capire l’importanza di quello che tu chiami tutto: uscire dalla propria stanza richiamati dalla bellezza di quello che ci gira intorno e che spesso non vediamo. La quotidianità con i suoi piccoli fallimenti talvolta ci fa dimenticare le grandi vittorie che richiedono tempi più lunghi.
Per chiudere, a questo disco ho chiesto evasione dalla scena indie-pop assai banale che trovo in questa nuova musica italiana. E tu di evasione ne hai introdotta, molto rifugiando in terre latine, argentine, francesi etc. Anche a te l’Italia andava stretta?
Non lo so quanto mi stesse stretta l’Italia, di sicuro avevo voglia di fare il mio senza pensare a quello che nel mercato del nostro Paese adesso ha più fortuna rispetto ad altro. Se sono riuscita a farti trovare quello che cercavi prima di ascoltare il disco posso solo esserne felice. Così come sono felice ogni volta che mi accorgo di essere una voce fuori dal coro. Non mi piace l’idea di essere una tra tanti che si somigliano.