di Irene De Marco.
foto I.D.M.
Silent Animals è un lavoro che ha preteso il suo spazio nel mondo per undici anni, ovvero da quando i Crimen, power trio di Centocelle, si sono formati. Nella mia testa, però, prende forma una sera di fine estate a Roma, quasi un anno fa, quando conobbi per la prima volta Simone Greco, cantante e bassista dei Crimen.
Ed è così che mi sono ritrovata tra le mani, nove mesi dopo, una foto scattata da me come quarta di copertina, una bacchetta quasi rotta, ore di video da montare e un vinile che è come un figlio da recensire.
Simone Greco, Patrizio Strippoli e Giuseppe Trezza. I baldi non-più-tanto-giovani vengono tutti dalle periferie est di Roma, quelle che negli ultimi anni hanno visto la gentrificazione avanzare, i radical chic invadere, i “bangladini” sparire in favore di posti da aperitivo fighetti, ma lasciarli sempre un po’ fuori.
Forse è questo il modo più semplice di descriverli, “quelli rimasti fuori”. Rimasti fuori dal mercato discografico italiano, tanto che il loro primo contratto discografico è con la prestigiosa Fuzz Club Records, inglesissima madre di dischi come Grace dei Sonic Jesus e The Perfect Enemy For God dei The Underground Youth.
Degli outsiders, come quelli che vedi nei telefilm anni ’90, che alla fine della serie diventano eroi. Magari di stagioni ce ne mettono 11 per conquistare la capo cheerleader, magari in 11 anni hanno pensato ad altro, hanno smesso di crederci, ma poi alla fine ci sono riusciti.
Silent Animals è la cheerleader dei Crimen ed è uscita lo scorso 29 giugno.
Un disco che prende la sua ispirazione tra le fila del noise e del post hardcore e si colora di psichedelia tropicale, in un tornado psicotico e irruento.
Dalle atmosfere buie e martellanti quasi apocalittiche di Hit Mania Death, al funky distorto di Supermarket, passando per la dimenticata Above The Trees (Rockets), che apre l’album con un assaggio di cupa psichedelia e l’attesa frenetica e incalzante di Six Weeks, senza tralasciare le ballate post punk di chi ancora crede nell’amore (a discapito di quello che dicono due di loro e della hit No Creo En El Amor di un gruppo omonimo ispanico).
Il richiamo al tropicale è presente sin dalla copertina, con le palme rosa e blu, e si concretizza in Batida, il secondo brano del disco: distorsioni psicotiche per una canzone che potrebbe trovare il suo spazio su una spiaggia mentre giochi a racchettoni e sorseggi mojitos al cocco, così come a un festival post punk.
Il tropicalismo, la fragilità emotiva, il bisogno di sconfiggere fantasmi e debolezze sono i temi di questo esordio. Un esordio arrivato tardi, che ha permesso ai Crimen di crescere e creare un disco trascinante e a suo modo passionale che fila dall’inizio alla fine nonostante le sfaccettature. D’altronde, “se la vita è sfaccettata, perché non dovrebbe esserlo un disco?”.