Musplan (piattaforma web di booking per band e locali) è andata a vedere per noi di Exitwell, il contest che si è svolto lo scorso 8 giugno all’interno del Medimex, l’International Festival & Music Conference. Ecco il resoconto con l’intervista alle band.
di Anna Rita Di Lena.
La 15° edizione dello Sziget & Home Sound Fest, ha portato a casa un bel poker d’assi. Nato dall’unione tra lo Sziget Festival di Budapest e l’Home Festival di Treviso, quest’anno il contest ha presentato una selezione di quattro band italiane completamente diverse l’una dall’altra. Le sonorità sfumavano dalla psichedelia tarantina degli Elius Inferno & The Magic Octagram al funcky jazz dei bolognesi Blurango, spostandosi sull’elettro pop bergamasco dei Vanarin per riconsolidarsi nel tanto amato brit rock anni ’90 dei triestini Charlestones.
Nota di interesse è andata, inevitabilmente, agli Elius Inferno & The Magic Octagram che con il loro carisma psichedelico, hanno conquistato prima ancora di sapere se fossero o meno i vincitori. La band proviene da un background musicale vissuto tra esperienze londinesi e diversi live in giro per l’Europa. Hanno debuttato nel 2015 al Village Underground di Londra come supporters agli Os Mutantes, rinomata band psych-rock brasiliana. Il nucleo della band è composto da Elius Inferno, ovvero Elio Di Menza, un producer che di recente è stato impegnato come tour manager per l’americano Scott Yoder e gli Abigalis (il cantante suonava nei Growlers) e dal “Magic Octagram” alias Donato Guitto, chitarrista degli Hacienda, band fiorentina nata nel 2003, che si è ritagliata un piccolo spazio nella scena indie-rock, sia italiana che britannica. Assieme a loro, c’è una carovana di musicisti che si alterna nei live, ormai soprannominata la Elius Family. Musicisti degli Hacienda, Platic Man, Go!Zilla, Dead Coast, Telephatic Dreambox e Leitmotiv. Una banda scalmanata di sciamani “made in Italy”. Il 3 marzo è uscito il loro disco d’esordio “Rat in Space” registrato al Sudest Studio di Stefano Manca, nella campagne leccesi di Guagnano, sotto l’etichetta Annibale Records e per mezzo delle sapienti mani di Albero Ferrari dei Verdena, al mixaggio.
A maggio è partito il tour europeo che riprenderà per tutta l’estate. Approfittando della pausa, presa durante lo Sziget e Home Sound Fest contest, Musplan ha rivolto delle domande al nucleo della band, ovvero Elio Di Menza e Donato Guitto.
Nomi emblematici, figure mistiche ed immaginario esoterico. Tutto ha l’idea di contenere un grande mistero del quale, soltanto voi, sapete cosa si nasconda. Quale significato c’è dietro le vostre canzoni, a partire dal nome stesso della band?
Elius Inferno & The Magic Octagram è certamente un nome di per sé enigmatico. Elius era una divinità greca portatrice di sole, musica e allegria. L’abbiamo trasformato in un dio esoterico aggiungendoci il termine “Inferno” semplicemente dettato dal sound oscuro del rock psichedelico che, da sempre, incarna qualcosa di misterioso e di inaccessibile. Non a caso, il primo singolo si intitola “Venus Inferno”. Rappresenta il lato opposto di Elius, ovvero la sua donna. The “magic octagram” è stato pensato in uno di quei giorni in cui sei al pc a cercare immagini per svago e ti imbatti in disegni surreali ad otto punte, in cui, al posto delle linee ci sono dei simboli strani, che ti catturano la mente.
Il nostro messaggio è un mix, insomma, tra mitologico ed esoterico e fa parte del nostro sound, del nostro background. Siamo figli delle vecchie generazioni che ascoltavano gruppi come Black Sabbath e Deep Purple, affascinati dalla loro magia sciamanica. Oggi sappiamo che quell’atteggiamento era più che altro una questione mediatica, da showman. Solo che noi ci crediamo davvero (sorridono)!
Come funziona questa family band?
Spesso ci chiedono come facciamo a non avere una formazione fissa. Noi ci siamo riusciti perché abbiamo creato una sorta di base, dove tutti i musicisti possono sentirsi liberi di suonare e interagire, non da semplici turnisti ma come elementi attivi, con la stessa ottica musicale, sentendosi come parte di una famiglia. Liberi da scelte organizzative di tour e dischi, perché abbiamo ridotto all’osso la situazione gestionale della band e ci troviamo benissimo così.
Su “Rat in Space” compaiono ufficialmente, Fabio Ricciolo dei Go!Zilla, Francesco Perini e Andrea Palombi degli Hacienda.
Dopo varie esperienze su palchi esteri, come mai la scelta di registrare il disco in Puglia?
In realtà abbiamo avuta una dritta da Cesare Petulicchio, batterista dei Bud Spencer Blues Explotion. Andò lì per registrare una session con altri musicisti e ci consigliò di passare da Stefano Manca del Sudeststudio a Guagnano. Una volta arrivati lì, ce ne siamo subito innamorati. Uno studio enorme, disperso nella campagna leccese. Siamo stati attratti dall’energia di quel posto, merito anche di Stefano che ci ha messo in “comfort mode”. È stata una full immersion di dieci giorni. Abbiamo registrato tutto in analogico. E poi, francamente, lo stesso studio a Londra sarebbe costato otto volte di più!
Come si sono intrecciate le vostre vite musicali con quella di Alberto Ferrari dei Verdena?
Quando abbiamo finito di registrare, ci siam resi conto che il materiale da mixare era notevole. C’erano tanti suoni e suggestioni da voler ricreare e volevamo una persona che riuscisse ad entrare al 100% nel nostro mood, che riuscisse a tirar fuori, dalle tracce nude e crude, tutto quello che avevamo in testa. Mentre stavamo valutando vari studi su dove andare a mixare, il nostro manager dell’Annibale Records, Luca Landi, stava organizzando il tour europeo per i Verdena e ci propose di chiedere a lui. L’idea ci è piaciuta sin da subito e siamo andati a parlare con Nora Bentivoglio, l’addetto stampa dei Verdena nonché compagna di Alberto. Ci disse di spedire il materiale e dopo qualche giorno, ci contattò direttamente Alberto Ferrari dicendoci che aveva ascoltato il disco, che era rimasto molto colpito dal lavoro svolto, e che ci avrebbe aiutato al mixaggio con piacere. Da lì in poi è nato un rapporto di amicizia. Con lui abbiamo trovato una fratellanza musicale. Ci sentiamo spesso. E il disco sta andando bene.
Cambio di genere e di atmosfere. Si passa ai Blurango, band bolognese arrivata in finale allo Sziget e Home Fest contest. Hanno meno storia, ma sono molto promettenti, nuovi, freschi. Combinano il freestyle del hip hop con il groove funcky-soul ed una splendida voce jazz femminile. La loro particolarità è che quella di coinvolgere il pubblico in battute di freestyle durante la performance. I Blurango sono una formazione a sei elementi, provenienti da più parti d’Italia ma si son conosciuti tutti a Bologna, la città meticcia. Come meticcio è il loro suono. La stessa band non saprebbe come definirsi. Musplan ne ha parlato con loro.
Raccontateci chi siete, perché questa miscelazione di generi.
Intanto ci presentiamo. Siamo i Blurango, una band composta da Beatrice “IndaHouse” Dellacasa, voce e anima del gruppo; poi c’è il bassista Alessandro “Safari” e il chitarrista Andrea “Childish” Rubino. Abbiamo un sax suonato magnificamente da Silvia “Light” delle Luche. Mentre Christopher “Drag-One” Dragone è al beatbox e Mattia “Dock” Camangi al freestyle.
La nostra idea nasce quattro anni fa, quando Mattia e Alessandro si sono conosciuti musicalmente, scoprendo che si poteva unire l’hip hop del cantato alla musica dal vivo, intesa come strumentazione al completo. Quella conoscenza si è evoluta e un anno fa, abbiamo creato questa formazione che prende spunti differenti da ciascun elemento della band. C’è chi proviene dalla Sicilia, dalla Toscana, chi dalla Campania. Portiamo gusti ed esperienze diverse ma quando siamo insieme sul palco, funzioniamo. C’è feeling. Il punto di forza è proprio la diversità. Il riuscire a rendere questo mix di ingredienti una pasta omogenea. Per questo non riusciamo a definire un genere.
Come è nata l’idea di coinvolgere il pubblico durante i vostri live?
L’idea di coinvolgere il pubblico è nata da “Dock” che è molto bravo a fare freestyle. A un certo punto dell’esibizione, Mattia chiede qualcosa alla gente e in base a quello che gli rispondono, lui inventa un cantato freestyle. Ci piace molto far divertire il nostro pubblico, farlo ballare. E poi ci piace improvvisare. È il nostro metodo di suonare per esprimere al meglio ciò che siamo. Perciò l’abbiamo assecondato senza problemi. Viene fuori un gran casino ma funziona! Il membro aggiuntivo della nostra band è proprio il pubblico. Ogni sera si cambia tematica, in base al mood della gente che, a sua volta, risponde in rima e cori. Quando sponsorizziamo la serata, diciamo alla gente, non di vederci, ma di venire a fare festa con noi! Il nostro bacino di utenza, varia dal bambino di dieci anni, al signore di sessanta. La musica è universale. È per tutti.
Provenite da studi musicali?
Si. C’è Silvia diplomata in sax al conservatorio mentre Andrea in chitarra jazz. Alessandro ha seguito studi privati in basso e pianoforte. Mattia e Christopher sono insegnanti di freestyle e beatbox alla “Music Station” di Bologna. Mentre Beatrice sta per iniziare gli studi in canto jazz.
Quando un album?
A brevissimo. Stiamo finendo di registrare il primo EP che conterrà quattro tracce. Verso settembre uscirà il primo singolo, seguito da un videoclip. E da lì a breve uscirà l’EP completo. Il singolo si chiama “Capezzoli Magnetici”. Titolo nato da una serata alcolica in cui facevamo delle constatazioni anatomiche sul fatto che una nostra amica si fosse fatta il piercing al seno e le chiedevamo ironicamente di farcelo vedere. Raccontiamo questo perché tutti i nostri brani sono tratti da storie vere. Saranno contenuti anche i brani “Lost in the weekend” e “Take me to the limit” già presenti su Youtube.
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