Un nuovo disco di Giorgio Ciccarelli fa sempre bene alla pelle e al cuore che cerca la libertà. Si intitola “Bandiere” ed è un inno alla vita in qualche modo, un racconto sociale, un canto politico nel senso popolare del termine. Proprio la title track colpisce nel significato di queste bandiere da ripiegare, di questo certo modo di riconoscersi uomini e non riconoscersi “cittadini” di una certa situazione – come dire – amministrativa e politica (questa volta in senso direi più televisivo che istituzionale). Quante chiavi di lettura ci lascia la scrittura di Ciccarelli che, per la prima volta, sposa l’elettronica da protagonista e come colonna portante del suono. L’ipocrisia, la verità… la pulizia spirituale prima di tutto con se stessi e poi con il mondo che ci circonda. Un disco introspettivo, per niente lineare, decisamente psichedelico di acidi che contiene dentro una chiarezza emotiva che forse colpisce più di ogni altra cosa. L’espressione di Ciccarelli non è parola e non è poesia in senso letterale. È suono che insegue l’estetica per romperla in mille pezzi. Solo “Voltandosi indietro” si raggiunge la verità della propria esistenza. Forse…
Semplicità. Questa è una parola che ricorre spesso nella tua letteratura musicale e soprattutto in questo disco. Che significa per te?
Sono sempre stato incuriosito dalla capacità di un autore di essere immediatamente compreso da chi ascolta. I testi criptici, a meno che non evochino delle immagini capaci di farti “viaggiare”, mi interessano meno in questo periodo. Forse è per questo che mi sono rivolto a Tito Faraci per i testi di Bandiere, trovo che lui abbia questa capacità, questa semplicità nel dire le cose, un’immediatezza che per me è una dote notevole.
Eppure queste nuove canzoni sono tutt’altro che semplici. Non è una contrapposizione se parliamo di semplicità?
Infatti, la mia ricerca di semplicità nella parola cantata è in assoluta contrapposizione alla musica. Non volevo “appesantire” con dei testi poco diretti, canzoni che già non sono esattamente di semplice lettura.
Ipocrisia. Ecco un altro termine che vien fuori dal sottotesto di queste canzoni. Abbattere le maschere dei rapporti con gli altri e con se stessi è il primo passo per la semplicità?
Certo, ho un’età per cui mi si può considerare un uomo maturo che non ha bisogno d’indossare maschere, perché consapevole del proprio essere. Prima si raggiunge questa “presa di coscienza”, meglio si riesce a rapportarsi con gli altri e meglio si riesce ad accettare la propria pochezza come esseri umani e dunque vivere più serenamente con se stessi…
Elettronica. Per la prima volta nella tua produzione musicale… o sbaglio? Come mai questa scelta?
No, non sbagli, nei 13 dischi precedenti fatti con varie e diverse band, l’elettronica non aveva mai fatto capolino. Ho voluto fortemente virare, andare verso un qualcosa da me lontano per cambiare radicalmente tutto quello che avevo fatto fino ad allora.
“Bandiere” è un grido di rivoluzione o una mera presa di coscienza?
Se parli del disco nella sua interezza, sì, può essere considerato un grido di rivoluzione. Se parli della canzone (Bandiere), ti posso dire che si va oltre la mera presa di coscienza, è una consapevolezza radicata, un modo di vedere le cose fortemente politico.