I Baustelle hanno sempre rappresentato l’Indie che ce l’ha fatta, l’indie che si è imposto con forza fino a sfociare nel mainstream, ma con coerenza. In questo 2018 pubblicano L’Amore e la Violenza vol. 2, a poco più di un anno di distanza dal suo fortunato predecessore. E ci regalano di nuovo un’opera ispiratissima, intimamente démodé ma implacabilmente accattivante.
Dodici brani, con i testi di un Bianconi ispiratissimo che torna a tinteggiare l’Amore, e il perduto naufragare in esso, come fulcro dell’esistenza e della rivoluzione verso il futuro. Questa volta la Violenza, che nel precedente lavoro era rappresentata dal contesto storico/sociale dei giorni nostri, è meno evidente, sfocata, scalzata da immagini letterarie che seppure dure, di amore carnale, quasi animale e puro, sono tutte quante utilizzate in direzione di un’interpretazione delicata del bene più profondo e intenso che profuma e codifica l’album. Musicalmente siamo molto vicini al primo volume, con melodie irresistibili e irresistibilmente vintage, e i suoni di una musica elettronica volutamente “datata” ma (di nuovo) moderna. Questa volta la band ha agito come il killer che torna sulla scena del delitto, quasi a voler completare un qualcosa di molto più grande di quanto non si fosse già sentito. Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini ci regalano un album capace di far sorridere e piangere, di far riflettere, di far emozionare e di far innamorare. L’Amore e la Violenza.
di Francesco Pepe
Il secondo volume di L’Amore e la Violenza dei Baustelle è un perfetto esercizio di stile a là Raymond Queneau: un racconto con la stessa identica trama, ma con dei vestiti diversi. Il che, sia chiaro, può anche essere un bene quando il gruppo in questione ha ripetuto in maniera quasi costante il modo di strutturare le sue canzoni nel tempo. È già qualcosa. Eppure, da un sequel di un disco così blasonato come è stato il volume uno, ci si aspettava qualcosina di più. Ci sono degli esempi di ottima ri-scrittura delle Baustelle melodie, come nell’apertura di Violenza, in cui le tonalità tendenti al noir trasformano questa strumentale in un esempio di colonna sonora horror simonettiana, evocativa come lo è anche La musica elettronica, altro esempio di come, comunque, il songwriting di Bianconi, Bastreghi e Brasini sia maturo di anni d’esperienza e pur sempre piacevole da ascoltare. A mancare è l’originalità di un’idea di fondo sottesa alla scrittura di un album, come di un buon racconto, la svolta geniale nella trama o la peculiarità di una certa canzone che impedisca il formarsi dell’impressione di avere appena ascoltato lo stesso album suonato con un’attitudine diversa. O lo stesso racconto con uno stile diverso dello stesso autore. È un buon album dei Baustelle, ma non racconta nulla di nuovo.