Bentrovati ai lettori della rubrica Mixer. Nella precedente uscita abbiamo parlato dell’importanza vitale della scelta dei brani da registrare; posta quindi come conditio sine qua non l’accuratezza della selezione del materiale veniamo al punto di come registrarlo al meglio.
Partiamo con ordine e cerchiamo di fare degli esempi di stili diversi di registrazione per poter poi legare lo stile più idoneo al proprio progetto musicale.
Si dà per scontato che tutti sappiano cosa significhi registrare in multitraccia, cioè archiviare in tracce separate ogni singolo strumento musicale per poter poi in un secondo momento (mixaggio) modificarne l’equalizzazione, l’effettistica e le proporzioni di volume fra gli altri strumenti; grazie all’uso di schede audio compatte oggi si registra quasi sempre in multitraccia anche dal vivo, ma come vedremo non è da scartare a priori, per alcuni generi, la registrazione su due tracce (stereo).
Le registrazioni multitraccia effettuate riprendendo uno strumento alla volta notoriamente danno i margini maggiori di controllo sul suono e sull’esecuzione dei musicisti. Di contro c’è la freddezza che può risultare da performance eseguite in più momenti, con coinvolgimenti emotivi diversi fra i musicisti, soprattutto se inesperti.
In questo tipo di sessioni si parte registrando la ritmica, solitamente la batteria, con l’ausilio di una traccia metronomo (click) e possibilmente con uno strumento armonico ed una voce che fungono da guida per il batterista, il quale deve sì attenersi il più possibile alla traccia tempo, ma deve anche poter imprimere del pathos alla sua esecuzione.
Una volta stesa la base ritmica si aggiungono “a strati” gli strumenti uno sopra l’altro: di solito si prosegue con il basso, strumento ponte fra la ritmica e l’armonia della canzone, per poi aggiungere chitarre, synth e quant’altro richiesto dall’arrangiamento; artista, arrangiatore, produttore e fonico devono lavorare all’unisono per fare in modo che ogni brano abbia un vestito sonoro su misura: il copia/incolla può funzionare per alcune parti suonate, ma a livello di arrangiamento un disco che propone colori uguali su ogni brano risulterebbe piatto e senza speranze di durare nel tempo.
Se si adotta questo tipo di registrazione, indispensabile ad esempio per il pop, la musica leggera e tutti i generi che si basano sull’uso massiccio di campionatori ed elettronica, è vitale l’uso del metronomo: il batterista della band deve avere dimestichezza con questo strumento ed essere in grado di eseguire le parti del brano senza perdere fluidità nei passaggi, soprattutto nel mantenimento della ritmica su strofe e ritornelli; una registrazione multitraccia, con uno strumento alla volta senza l’uso del metronomo è sconsigliabile, anche se non impossibile, perché imporrebbe ai musicisti di suonare l’uno sull’errore dell’altro allungando terribilmente i tempi di realizzazione ed abbassando la qualità esecutiva del risultato finale.
Se una band non si sente in grado di registrare usando il metronomo, ma vuole comunque registrare in tempi diversi è bene adottare delle semplici accortezze: per esempio è consigliabile registrare basso e batteria in contemporanea, per avere almeno un’ amalgama di base fra ritmica ed armonia, e possibilmente registrare insieme anche una chitarra ed una voce guida, che rimarranno attive nella sessione sufficientemente a lungo per permettere in un secondo momento ai chitarristi di suonare seguendo una data intenzione, anche se non rispettosa di un rigore ritmico costante.
Questa tecnica è molto in uso attualmente perché permette di accorciare i tempi e contemporaneamente di avere una giusta via di mezzo fra il controllo sonoro e la naturalezza di esecuzione, notoriamente più fluida in situazioni live che in studio.
Esiste anche la possibilità di registrare tutti contemporaneamente, con o senza metronomo, sempre in multitraccia, ma per questa soluzione da sogno serve uno studio che abbia almeno tante stanze separate per quanti sono gli strumenti da registrare.
Questa tecnica, molto complicata da gestire per il fonico, è utilissima per le band che hanno molto affiatamento e che sono protagoniste di concerti all’arma bianca: come dire, a volte gli errori di esecuzione legati alla foga diventano parte integrante del sound della band stessa!
Moltissime band punk, hard-core, garage, blues e jazz amano usare questa tecnica dispendiosa ed un po’ caotica per quanto naturale ed in grado di incidere il reale istinto live di una band.
Esiste anche la possibilità di registrare in studio, o in concerto, mixando tutto direttamente in due tracce (file stereo) senza la possibilità di remixare l’equilibrio degli strumenti in un secondo momento: questa tecnica apparentemente spartana e di fortuna è invece la tecnica più gettonata per registrare generi basati sull’improvvisazione come ad esempio la musica contemporanea/concreta, free jazz, elettronica sperimentale e al limite anche jam sessions; in queste situazioni non è richiesta la perfezione, anzi, le imperfezioni danno la sensazione del tocco umano e le piccole approssimazioni sonore anche di mixaggio sono meno rilevanti rispetto alla chimica che ha portato quel dato evento a concretizzarsi in maniera unica ed irripetibile in quel dato momento.
Se una band decide di registrare usando tecniche il più live possibile deve cercare uno studio con almeno due sale di ripresa, meglio se tre o quattro, di cui una grande per poter posizionare la batteria in una stanza da almeno 30mq. Le altre possono essere anche piccole tipo vocal room per distribuire gli amplificatori in ambienti separati e non avere il problema dei rientri di uno strumento nei microfoni dell’altro. Se lo studio è ben equipaggiato ci sarà la possibilità di suonare, usando le cuffie, tutti nella sala della batteria remotando il proprio segnale di strumento alla stanza dove suona il proprio amplificatore. Tradotto: tutti insieme a suonare potendosi guardare e fare cenni mentre gli amplificatori suonano per conto loro in stanze separate.
Per quanto riguarda invece lo stile di allestimento di uno studio è fondamentale che ci sia il feeling giusto fra il fonico/produttore e lo stile che la band ha in mente; se si vuole fare una produzione di base rock (uso il termine rock per definire una vasta fetta di generi) è bene che lo studio abbia materiale vintage o quantomeno analogico, che il parco microfoni ne proponga anche a nastro oltre ai soliti dinamici e condensatori che hanno tutti.
Se si vuole produrre con l’uso massiccio di elettronica è bene che lo studio sia pieno di “gingilli” (synth, groove machine, etc.) e soprattutto che il fonico, se non si ha il proprio fonico, sia esperto di programmazioni e arrangiamenti elettronici.
L’uso di uno studio, solo perché a buon mercato, ma non conforme ad attuare le tecniche idonee per un gruppo, potrebbe allungare talmente tanto i tempi di realizzazione che con un minor budget si potrebbe ottenere un risultato migliore in uno studio apparentemente più costoso.
Meditate.
Danilo Silvestri
ExitWell Magazine n° 1 (marzo/aprile 2013)