L’elasmotherium era un animale preistorico, ora estinto. Un rinoceronte, ma due volte più grande, con un corno, si pensa, della lunghezza di circa due metri. Divenuto poi, negli anni e nell’immaginario mitologico, quell’animale di fantasia che tutti conosciamo come l’unicorno. Uno strano e straordinario processo umano che ha trasformato un enorme e coriaceo animale in una creatura incantata e leggera. Come per l’album di One Glass Eye, che di questo animale estinto porta il nome, in cui le riflessioni, i pensieri, le idee profonde del cantautore prendono forma, attraverso una trasmutazione artistica, in canzoni leggere, quasi sospese nella quiete di un suono che si compone esclusivamente di voce e chitarra.
One Glass Eye è Francesco Galavotti, chitarra e voce della band Cabrera. Il suo primo full lenght album è un piccolo, ma solo in termini di durata (20 minuti totali), momento di pace nel caos circostante, in cui ritrovare il piacere di avere tempo per se stessi e, magari, ricongiungere e mettere insieme quelle piccole parti interiori fuori posto o incompatibili. Un po’ come l’elasmoterio e l’unicorno.
Lo stile di Francesco Gavalotti è elegante e finemente studiato, raffinato negli arpeggi e nella costruzione delle linee melodiche. Un concept acustico disancorato dalla tradizione nostrana e dai suoi simili, più vicino, se proprio vogliamo avvicinarlo a qualcuno o qualcosa, alle ultime produzioni dei The Villagers di Conor O’Brien (l’album è Darling Arithmetic, tanto per intenderci).
Dalle docili armonie di “There’s no KFC in Italy” ai colorati arpeggi di “Dogs&Co”, la chitarra e la voce di One Glass Eye si uniscono con una bellezza sincera, come una coppia di ballerini che non ha mai abbandonato la pista da ballo e si guardano con una complice intesa. Le linee vocali, cantate in inglese, assecondano i testi e gli umori dei brani, prima fragili e altre volte più decisi. Mai fuori dalle righe, mai eccessivo. Semplicemente armonioso, coerente e ispirato. Un ottimo lavoro, quindi, quello di One Glass Eye, capace di donare nuova vita e forma a qualità e composizioni musicali che, solo all’apparenza, sembravano ormai estinte.
Gianluca Grasselli