Un nome come quello di Marco Schnabl non dovrebbe avere bisogno di presentazioni.
E invece siamo in Italia e le presentazioni sono obbligatorie anche per lui.
Una vita vissuta tra Roma e Londra suonando in centinaia di diverse venues, vantando collaborazioni con nomi del calibro di Chris Kimsey (Rolling Stones) e Nick Tauber (Thin Lizzy, Marillion), lavorando come tecnico del suono e insegnando presso la Islington Music Workshop fino alla scelta, coraggiosa e ardita, di rientrare in Italia nel 2010 per tornare a scrivere musica.
Il suo EP (Marco Schnabl) vede la luce dopo una fortunata campagna di crowdfunding e non è un caso che sia stato pubblicato direttamente in vinile: segno di una certa attenzione e cura per i suoni e di grande passione per il proprio lavoro.
L’EP si compone di 6 brani molto autoriali, contraddistinti dal timbro vocale di Marco e dal suo personalissimo tocco chitarristico.
La prima metà del disco è caratterizzata da una dimensione molto intima, in cui l’autore sembra invitarci ad entrare in punta di piedi, sulle note delicate della opener “Time to go home”, un grande e malinconico crescendo che si interroga sulle proprie paure ed immobilità.
Il pezzo successivo è introdotto da un assolo che lascia spazio alla voce calda di Marco, mentre il ritornello è affidato alla melodia della chitarra. Questa volta è il tema della solitudine, come da titolo, ad essere affrontato.
La lenta e cadenzata “The song that none will sing” è il brano più lungo del disco e anche quello con gli arrangiamenti più ricercati: un inizio sperimentale fatto di suoni e rumori, da cui emergono prima la chitarra e poi delle percussioni quasi tribali, porta senza fretta il brano ad esplodere in un grido straziante per la “canzone che nessuno canterà”.
Nella a seconda metà il disco intraprende una vera svolta, grazie al sapore nettamente brit pop del trittico “A different day” / “Who’s gonna take care of me” / “The Cinema show”.
Quest’ultima si rivela essere il pezzo più accattivante e quello che più mette in mostra le doti da solista di Marco: il brano è costruito su un arpeggio, rotto a metà da un riff aggressivo di chitarra che sfocia nell’assolo migliore del disco.
Le atmosfere si fanno meno cupe e anche i testi sono impregnati di un vago ottimismo che rende più disteso il finale dell’album.
Sei brani per un totale di 31 minuti colmi di passione, sensibilità e gusto musicale, nella speranza che siano un ottimo apripista per un lavoro più ampio e degno dell’attenzione che meriterebbe, anche in Italia, Marco Schnabl.
Per fortuna sembra che qualcuno ogni tanto si accorga delle realtà interessanti del nostro Paese, come ad esempio il regista Edoardo Winspeare, che ha definito questo EP di una “potenza evocativa straordinaria”.
Difficile dargli torto.
Giulio Valli