Partiamo da un presupposto fondamentale: i 3chevedonoilrE non sono miei parenti, nessuno di loro è il mio ragazzo e, se guardiamo alla radice etimologica del termine, forse non sono neanche miei amici. Diciamo che lo sono diventati, ecco. Lo sono diventati in quanto fanno buona, ottima musica.
Mi sono imbattuto in loro durante la finale di un contest a cui devo molto e, fin dalla prima nota, ho captato la loro capacità (innata) di spettinare e sedurre l’ascoltatore di fronte: sia esso prevenuto, ben disposto o, semplicemente, stronzo e sordo.
Pur soffrendo del difetto, gravoso, di non sapersi vendere e coltivare quanto meriterebbero e dovrebbero, i 3chevedonoilrE riportano tutto -inevitabilmente- alla dimensione dell’ascolto e del rispetto: il loro primo e unico disco Nella Baracca di Latta è un piccolo tesoro di onestà intellettuale. In mezzo ad un mondo di millantatori e figli di altri figli, questa band sforna un lavoro la cui sapienza “tattile” e musicale è sì frutto della loro età (tutti sopra i 30 anni) ma anche e sopratutto della loro abilità, maestra, nel cogliere le più diverse sfumature cellulari della realtà.
Anche in questo caso è inutile star qui a soffermarsi su questo o quel pezzo, anche perché Nella Baracca di Latta è sì un lavoro pregevole ma giustamente ancora immaturo e che, soprattutto, ha bisogno di un ascolto attento e fedele: Non è vero niente apre le danze in maniera furiosa, un erezione stabile e finalizzata; Festival segue e rimanda alle loro foto di gruppo, quelle in cui controllano -sapientemente- di non aver acciaccato merda per i marciapiedi di San Lorenzo; Carmelita è il manifesto che ogni persona di buon senso adopererebbe negli anni d’oro delle mastoplastiche additive, quando le protesi mammarie ce le hai nel cervello e non altrove; Il giorno del mio cambiamento scorre sapientemente tra il pop ed il rock, miscelando alla perfezione entrambi gli elementi di una tradizione che, nell’immediato, ricondurrebbe i 3chevedonoilrE ai Queen del fu The Game (1980).
Questo solo per descrivere i picchi, massimi, di un album che è comunque gradevolissimo nel suo complesso: pur restando, fermi e immobili, nel ribadire che la dimensione di questa band è anzitutto quella dal vivo. Farà strano sentirselo dire, nel mondo degli sguardi fissi all’obiettivo, dei video autoreferenziali e delle foto scaricate a pacchi ma così è.
I 3chevedonoilrE sono un muro di suono irrinunciabile. Imprescindibile.
Tutto questo, purtroppo, ci riconduce però ad un altro discorso, questo sì serio e inquietante:
come ha fatto, il mondo della radiofonia, dell’editoria musicale, della discografia indipendente, a non accorgersi (quanto merita) di una simile realtà?
Chiariamoci subito: i 3chevedonoilrE non sono un gruppo di sfollati, non hanno difficoltà a suonare dal vivo e farsi apprezzare, non è questo il punto. Vincono concorsi su concorsi e, quando gli va male, arrivano secondi essenzialmente perché il loro è un linguaggio complesso: e spesso le scorciatoie, musicali, vincono.
Non è questo il punto.
Il fatto è che un gruppo così dovrebbe invadere la realtà quotidiana di tutti noi, accompagnarci mentre riempiamo di nulla le nostre fette biscottate e coricarci, dolcemente, quando mettiamo entrambe le mani sotto al cuscino. Mi sorge quasi il dubbio che questi ragazzotti siano troppo bravi per essere veri. Parlare, sanno parlare. Suonare, sanno suonare. Il colpo, lo hanno sempre in canna. A dire quello che devono, dicono quello che devono. La questione è più sostanziale che formale.
Quando penso ai 3chevedonoilrE mi viene immediatamente da associargli Daniele Luttazzi: che c’entra, direte voi? E invece secondo me c’è più di un punto in comune.
Il grande problema di Daniele Luttazzi, che per il sottoscritto è addirittura meglio dell’ultimo Metal Gear Solid, non è la censura cui è stato oggetto o ciò che di scomodo dice: il problema di un Luttazzi è ben altro! Luttazzi è un fuoriclasse in un mondo di mediani faticatori, Luttazzi è Johan Cruijff in mezzo a tanti, troppi Gennaro Gattuso.
Stessa cosa dicasi per i 3chevedonoilrE: non una virgola di meno.
Nelle verità di comodo che un ascoltatore italiano medio va costruendosi, tanto per avere un minimo di voce in capitolo, cosa dovrebbe portarlo ad apprezzare un lavoro del genere se non una curiosità veramente “attiva”?
I 3chevedonoilrE non hanno <> a differenza di Vasco e Ligabue, anche se quello è in realtà “usufrutto”: diritto reale di godimento su cosa altrui.
I 3chevedonoilrE non hanno vinto alcun premio al MEI ma in compenso sono andati lì ad ascoltare le perle di saggezza di qualche artista alternativo “sfatto”, talmente sfatto da risultare mainstream.
I 3chevedonoilrE non hanno brani o dischi in streaming su Rockit o XL, perché per forza di cose hanno famiglia.
I 3chevedonoilrE non hanno duettato con Pierpaolo Capovilla: che è bravissimo ma porca puttana è ovunque. E forse, non è neanche colpa sua.
I 3chevedonoilrE sono una metafora esistenziale.
La capacità, ovvero, di andarsi a cercare (un po’ per culo) un disco che vale la pena ascoltare nei giorni dei giorni, riscoprendone ogni volta la sincerità dei primi istanti: quelli in cui fu inserito in un lettore cd che a malapena riusciva a contenerne l’irriverenza.
Chi sono io per dirvi o aggiungere altro? Forse ho già detto troppo, forse ve li ho addirittura resi antipatici ma non potevo fare altrimenti: non avrei saputo spiegarlo alla mia coscienza, poi.
Posso solo dirvi che più o meno quotidianamente mi capita di ascoltare decine di nuove proposte tra singoli, EP, LP, raccolte, compilation e quant’altro ma mai, dico mai, mi sono ritrovato dopo quasi 2 anni a ribadire queste stesse sensazioni, che nel migliore dei casi avrebbero già il sapore della “muffa”.
Vi consiglio quindi, perché secondo me è il metodo migliore, di farvi la vostra opinione in autonomia e coi tempi che vi competeranno: la grande musica, anche la piccola grande musica, in fin dei conti aspetta l’ascoltatore e non scappa mai: perché non ha nulla da temere nell’essere scoperta. Tutto il resto, va e viene alla velocità della luce come le scoregge che puoi far finta non ti appartengano.
Valerio Cesari (L’Urlo, Radio Rock)
ExitWell Magazine n° 0 (gennaio/febbraio 2013)
Direi una grande band!!!!