– di Manuela Poidomani –
Per la 44esima edizione il Premio Tenco si colora di novità, con un titolo anomalo rispetto alla primigenia definizione della celebre manifestazione, dedicata esclusivamente alla musica d’autore. Sarà infatti “Una canzone senza aggettivi” a fare da testata a tutto il corpo della kermesse, “anomala”, ancora con strascichi delle restrizioni anti-COVID, in programma il 21, 22, 23 ottobre al Teatro Ariston di Sanremo.
E la musica, anche in questo caso, non smette di far parlare di sé, soprattutto dopo le dichiarazioni del responsabile artistico Sergio Secondiano Sacchi che nella spiegazione della scelta del titolo ha ammesso: «Per prendere le distanze da quella che una volta veniva semplicemente definita “musica leggera”, dalla fine degli anni Cinquanta l’uso di genitivi e aggettivi ha sempre condizionato la canzone italiana… Il muro di Berlino è durato meno del Premio Tenco, perché tenere ancora gli steccati tra canzone commerciale e canzone impegnata? Gli unici aggettivi che riferiti a una canzone hanno diritto di cittadinanza sono ‘bella’ o ‘brutta’… Verrà assegnato un premio a Mogol che mette fine a un isolamento culturale da parte nostra, a un sotterraneo ostracismo. E siamo felici di dedicarglielo soprattutto per il lavoro svolto nel sodalizio Mogol-Battisti che tanto ha influenzato i gusti degli ascoltatori italiani»
Stando a quanto dichiarato la domanda che sorge spontanea può essere: ma allora che ruolo può spettare alla critica musicale? Qual è la differenza con il giudizio musicale? Se nel passato la prima era un’elite specializzata a rappresentarla, con l’avvento di Internet si è assistito a un processo di democratizzazione, che se da un lato ha permesso di dare voce a chiunque volesse esprimersi, dall’altro ha ammontato la somma dei giudizi presenti nel mondo senza frontiere. E perché questo dovrebbe rappresentare un problema? È ancora forte l’idea che il cantautorato debba sollevarsi dai ‘soliti’ stilemi della musica considerata pop; sia a livello di testi, che si presumono ancora essere più impegnati e stratificati, sia di arrangiamento, che invece si vorrebbe sempre che fosse lontano dalla tipica sonorità radiofonica. Eppure negli anni ’60 e ’70 artisti come lo stesso Tenco e Fabrizio De André interpretavano testi da loro stessi composti in un determinato modo e a metà di quello stesso decennio, altri cantautori, pur essendo influenzati dal beat o dalla canzone dialettale, venivano circoscritti nelle stessa categoria dei primi. Più avanti, dagli anni ’90, si sono sempre più affermati artisti dalla personalità cantautorale coniugando il gusto moderno, e diciamo anche pop, ad una qualità dei testi vicina a quella dei loro predecessori; ed è così che loro stessi hanno risposto al bisogno della società odierna di velocità nella fruizione, riuscendo a coniugare insieme e, per le canzoni e gli artisti migliori, a far risaltare il sentimentalismo con una forte carica personale e autoriale.
Il cantautorato deve essere anche in grado di comunicare messaggi importanti attraverso una musica “gettonata”: perché qualcosa che è “orecchiabilmente” lontana dalla prima definizione non può entrare a far parte della suddetta manifestazione? In effetti sono discorsi che stanno interessando il Club Tenco stesso, negli ultimi anni; parte del Club, infatti, da tempo sembra fare pressioni per accogliere il “pop”, se così si può chiamare il mainstream odierno, tra le fila dei premiati con le sue Targhe, con risultati più o meno soddisfaccenti: Achille Lauro, invitato al Club Tenco, si era esibito con un’interpretazione discutibilmente eseguita di “Lontano lontano”, con cui in realtà non ha fatto altro che snaturare da una parte la canzone originale, dall’altra se stesso e il suo percorso artistico, molto distante da questo mondo, che però era anche il motivo per cui si trovava in questa sede. Insomma, non esattamente un successo, che per qualcuno è stato sintomo di come, forse, artisti come Achille Lauro abbiano poco o niente a che fare con ambienti come quelli del Tenco.
Se la risposta potrebbe fissarsi sulla convinzione che questa “tipologia” musicale debba tenere le distanze da ciò che può essere definito “musica leggera”, si può benissimo rispondere che il simbolo dell’ultima edizione di Sanremo, il cuore del cantautorato italiano, capace di guidare le classifiche di vendita e quelle radiofoniche, è proprio costituito dalla canzone di Colapesce e Dimartino, omonima a quell’aggettivo “leggerissima“, da tanti disprezzato in ambito musicale.