– di Giuseppe Provenzano –
Quando Riccardo [Riccardo De Stefano, Direttore di ExitWell, ndr] mi ha chiesto di buttare giù un pezzo sul Premio Tenco (o su qualcosa che, comunque, potesse riguardarlo) ammetto di aver titubato non poco prima di accettare, ed anche dopo aver accettato, i dubbi sulla bontà di un pezzo del genere continuavano a ronzarmi in testa.
Anche perché sono cose che ho scritto e riscritto in tutte le salse, indignandomi, incazzandomi, in alcuni casi anche disgustandomi.
Insomma, il rischio di diventare un disco rotto era [ed è, nda] molto alto.
Però il “problema Tenco”, se così lo vogliamo ribattezzare, rimane, ed è anche bello consistente.
Oltretutto non affrontarlo ogni qual volta se ne presenti l’occasione significherebbe vigliacca resa incondizionata ad un certo pressapochismo, peraltro spacciato come libertà artistica.
Prima di iniziare, devo necessariamente precisare che non si parlerà dei singoli nomi premiati quest’anno, argomento già abbondantemente esaurito, e che, se nomi verranno citati, sarà solo a scopo esemplificativo: non sarà un commento su nomi e Targhe.
Dopodiché ripeto che molte delle cose che troverete qui le ho già scritte, a spizzichi e bocconi, su altri articoli; questo è, se così lo vogliamo definire, un enorme recap.
Ecco, prima di andare avanti, è necessario puntualizzare un momento il concetto stesso di “canzone d’autore” (espressione inventata da Enrico De Angelis nel dicembre del ‘69, che sostituì, in qualche modo, quella “canzone diversa” di cui Umberto Eco scriveva nella prefazione de Le canzoni della cattiva coscienza), anche solo per evitare di tirar fuori la battuta più classica sul tema, qualcosa tipo: «Vabbè, tutte le canzoni hanno un autore».
Partiamo col dire che “canzone d’autore” non è un genere musicale, o quantomeno non lo è in senso stretto. È, più che altro, un vero e proprio genere letterario, in cui stilemi musicali variabili (ma dopo ci torneremo meglio) incontrano una tensione lirica che, permeata anche dal racconto universale del circostante, riesce a conciliare parole e musica, elevandoli sul piano poetico e, comportando, di conseguenza, la creazione di una nuova forma canzone nel panorama della popular music.
E non meno importante è sottolineare che il Club Tenco, fin dal ’72, anno della sua fondazione, ha lavorato avendo come obiettivo la promozione della canzone d’autore e di tutte quelle proposte artistiche lontane dai radar della musica di consumo. Iconica, a tale proposito, è la risposta che Amilcare Rambaldi, fondatore e anima del Club, diede ad un articolo dell’Oggi Illustrato: a quel: «Bravi, bravissimi [sottinteso: “questi cantautori”, nda], ma chi li vuole?» dell’articolo, Rambaldi rispose con un perentorio: «Li voglio io!».
Andiamo per gradi, partendo dal contingente, e cioè dagli avvenimenti che hanno segnato le ultime edizioni della rassegna. Rassegna che, è bene ricordarlo, viene ancora presentata come “Rassegna della canzone d’autore”, con tutto quello che comporta o che, quantomeno, dovrebbe comportare.
Il discorso è molto – si fa per dire – semplice: nel novembre del 2016, Enrico De Angelis – quell’Enrico De Angelis di qualche riga fa – lascia la direzione artistica del Club dopo circa vent’anni. In un’amarissima lettera, datata febbraio 2017, indirizzata ai giurati delle Targhe, De Angelis motiva la sua decisione denunciando la perdita dello spirito, cito testualmente, «di nobile dilettantismo, trasparente e disinteressato, libero da condizionamenti» che aveva contraddistinto fino ad allora l’esperienza del Premio Tenco. In più parla di conflitti di interessi non risolti e di un progressivo inglobamento della Rassegna all’interno di altre realtà sanremesi, segnatamente il Festival di Sanremo ed Area Sanremo. Insieme a De Angelis, lasciano i rispettivi incarichi anche Annino La Posta ed Enrico Deregibus, nomi che ci torneranno utili in seguito, più un contingente abbastanza numeroso di consiglieri.
Da lì, la direzione artistica – ma lui preferisce la qualifica di “Responsabile”, giusto per segnare una prima recusatio col passato, seppur recente – passa in mano a Sergio Secondiano Sacchi, già collaboratore dello stesso De Angelis e, prima ancora, di Amilcare Rambaldi.
E qui si comincia ad entrare nel clou della vicenda.