Vi presentiamo un disco che circonda il mondo intero, almeno prova a racchiuderne tutta una parte importante, spesso nascosta dai riflettori di scena intenti a puntare invece sulle facce da copertina e sui fenomeni del circo. Parliamo di MUSICA, e le lettere vanno ingigantite quantomeno per rispetto. Parliamo di composizione in una delle sue tantissime declinazioni importanti. Il musicista e chitarrista Massimiliano Cusumano pubblica per la RadiciMusic di Firenze un lavoro di concetto e di suono, di 10 inediti strumentali in cui non è la chitarra l’attore protagonista come di primo acchito potremmo pensare. Sono invece equilibri e personaggi assai interessanti che fotografano una Sicilia divenuta porto di mondo, approdo di culture, mercati rionali (a tal proposito, molto bello il video del primo singolo estratto dal titolo “Ballarò”) e naturalmente i suoni della vicina Africa. Una terra di passaggio o un luogo dove mettersi in salvo? Non riesco a capirlo sinceramente o forse non importa saperlo. Forse dall’ascolto di questo lavoro esce forte la sensazione di un romantico abbandono. Rubiamo a Cusumano stesso qualche punto di vista.
Lavorare su un disco strumentale oggi. Cosa significa? È sempre molto affascinante confrontarsi con chi in qualche modo sfida la forma e il cliché di quello che va per la maggiore (e qui mi riferisco ovviamente alla musica pop).
Per molti la parola, ad una prima analisi, appare come l’unico mezzo di espressione o meglio di comunicazione. Provate a guardare un film senza una colonna sonora, sono certo che non ne riceverete la stessa sensazione. Qualunque suono riesce, in ognuno di noi, ad evocare qualcosa, uno stato d’animo, un’emozione. Bene è questo il fine che mi pongo, ovvero quello di creare una dimensione in cui puoi stare con te stesso, pensare e trovare le giuste motivazione per affrontare le cose a cui siamo sottoposti. Mi piace pensare che altri come me possano trovare nella musica se stessi. Penso che il “suono” rappresenti qualcosa di primordiale, libero da condizionamenti sociali. Ciascuno di noi può riempirlo di un significato proprio. La scelta quindi di un disco strumentale non è una sfida ad un cliché ma semplicemente un modo di esprimermi.
Che poi, a voler essere precisi, “Island Tales” è un vero contenitore di musica POP, musica del popolo, i suoni del popolo… questo significa pop… non trovi?
Assolutamente si. Non riesco ad immaginare “Ballarò” (la track n.1) senza le voci del mercato, un chiaro esempio di origine e destinazione della melodia, ovvero la cosiddetta abbanniata. Nasce dal popolo e rimane destinata ad esso, una forma di comunicazione che si fa musica. Anche se non amo dare delle etichette, credo che la musica possa essere considerata, in ultima analisi, tutta pop.
Ti senti più chitarrista o compositore?
Sono due aspetti che si intersecano a vicenda, talvolta uno prevale sull’altro e sempre si stimolano a vicenda. Forse gli altri possono giudicare quale sia prevalente.
E quindi dicci, cosa porta l’idea di un brano ad avere tutto questo corollario di suoni? Nascono dalla chitarra o dalle idee queste composizioni?
Non vorrei ripetermi, ma spesso le idee nascono già complesse portando con se gli arrangiamenti e l’organico che li suonerà. Altre volte è la chitarra che mi aiuta a trovare la dimensione in cui proporre il brano.
Mi colpisce “Afrika”. Come mai scritta così? Quanta Africa c’è nella vostra terra?
Tantissima, infatti le sonorità provenienti da quelle terre le ritroviamo anche in altri brani come Arabe e Ballarò, mercato che ha molto in comune con il Souk. Afrika è uno di quei brani che mi ha dato un senso di completezza straordinario. Il giro armonico mi suggeriva delle sensazioni che in una prima fase non riuscivo a focalizzare. L’incontro con Doudou, straordinario cantante senegalese, ha cambiato tutto, mi ha dato la lucidità e l’ispirazione. Prima di entrare in studio di registrazione con Doudou stavamo lavorando su delle linee melodiche, e mentre lo facevamo ci siamo resi conto che quelle apparenti distanze culturali si erano annullate. Entrambi abbiamo avvertito l’esigenza e la responsabilità di testimoniare quanto le nostre culture fossero vicine.
Parliamo del video. “Ballarò”. So che porta firme importanti alla produzione. Ci racconti la genesi?
Quando si è pensato di realizzare il video di “Ballarò” l’unica certezza che avevamo era quella di girarlo nel mercato palermitano. Mi incontrai quindi con il regista Walter Chiello e gli raccontai cosa significasse quel brano per me e il valore che questo aveva all’interno del disco. Eravamo d’accordo sull’idea che i musicisti ne avrebbero fatto parte non come protagonisti. Il produttore esecutivo Manfredi Simonetti mi propose, dopo un paio di giorni dal nostro incontro, l’idea di Walter ovvero quella di realizzare più che un videoclip un cortometraggio.
La storia, con l’alternanza tra sogno e realtà e tra illusione e disincanto, mi ha subito convinto in quanto coglie pienamente l’essenza della realtà siciliana.
I ragazzi di Atom Inc. rappresentano innovazione e un pizzico di follia. È questo quello che esprimono i loro lavori. Walter Chiello, oltre ad essere uno straordinario regista e fumettista, ha anche intrapreso la carriera di storyboard-artist per alcuni lavori cinematografici, tra cui il film del duo comico Ficarra e Picone “L’ora legale”.