I Tre Allegri Ragazzi Morti nascono a Pordenone nel 1994, lo stesso anno in cui ci lascia Kurt Cobain, mai abbastanza compianto leader dei Nirvana. Una sorta di testimone, passato l’uno agli altri per mezzo dell’ineluttabile sorte, che ha marchiato a fuoco sin dagli albori l’identità del gruppo nostrano, delineandone segni particolari ed elementi di caratterizzazione che ancora oggi fanno dei TARM una delle band più oneste e corenti del panorama musicale italiano: l’anima è punk, la ritmica è rock, la tematica è (sovente) grunge. Un vero e proprio manifesto (pluri)generazionale.
Ma non solo: I Tre Allegri Ragazzi Morti sono riusciti, in corso d’opera, a liberarsi dall’impasse della definizione da vocabolario, che in ambito artistico – musicale in particolar modo – è lo scalino antecedente la stigmatizzazione. Lo hanno fatto sfornando degli album dissimili per contenuti, melodie, generi, eppure imprescindibilmente legati tra di loro dai presupposti fondamentali di cui sopra. E quantunque si possano portare decine di esempi teorici a sostegno della tesi, la dimostrazione pratica resta sempre la prova schiacchiante: quella del 30 novembre al Blackout di Roma, tanto per citarne una tra le più riuscite (a detta di chi si ritrova a scrivere per la prima volta di loro dopo aver assistito, negli anni, ad un numero inenarrabile di live). Reduci da due tournées intense e prolifiche – come apripalco a Jovanotti prima, e da soli in giro per l’Europa poi – i Tre Allegri Ragazzi Morti hanno scelto la capitale come ultima tappa, probabilmente memori delle calorose accoglienze che la città ha sempre rivolto loro.
A scaldare un sottopalco in febbrile attesa ci pensa Maria Antonietta, giovanissima cantautrice pesarese: classe 1987, caschetto scapigliato e talento da vendere. Ella ci svela, servendosi di un indie-punk agrodolce e schietto, alcuni frammenti di un’esistenza alle prese con il dualismo amore/sesso, con romanticismi antichi e cinismi spaventosamente attuali, e in generale con tutti i disagi e le incertezze tipiche della sua età. Il pubblico gradisce, ed applaude a dei brani che lasciano il segno, netti come la lama della ghigliottina che secoli prima calò sulla nuca dell’omonima regina francese.
L’ingresso dei Tre Allegri Ragazzi Morti, nella loro usuale formazione live 3+1, con Davide Toffolo alla voce e chitarra ritmica, Enrico Molteni al basso, Luca Masseroni alla batteria e Andrea Maglia – mascherato da pettirosso – alla chitarra, fa scattare un’ovazione: complici una bellissima scenografia (quel Giardino dei Fantasmi enunciato nel titolo del loro ultimo album, disegnato per l’occasione su macropannelli da Toffolo, che oltre ad essere un musicista è da sempre un apprezzato illustratore), il travestimento da “zombie peloso” di Davide, le imprescindibili maschere – anch’esse frutto dell’ingegno del cantante della band, ispirato dalla lettura di Kriminal, antonomasia del fumetto nero italiano – ed una semioscurità che conferisce l’appropriato tono intimistico all’ambiente, tutto sembra iniziare nel migliore dei modi possibile. In pieno mood Tre Allegri Ragazzi Morti, chi li ha già visti dal vivo lo intuisce subito.
Si parte con I Cacciatori, seconda traccia dell’ultimo disco, cantata all’unisono dai fan della vecchia e della nuova guardia (“gli allegri ragazzi vèci e gli allegri ragazzi nuovi”, come sottolineerà in seguito lo stesso Toffolo).
Un passo indietro ci riporta all’album precedente, dapprima con Puoi Dirlo a Tutti e a seguire con La Faccia Della Luna, singolo che all’uscita ebbe un ottimo riscontro di mercato, grazie al supporto di un sapiente videoclip e di una melodia destinata ad imprimersi sulle cortecce cerebrali degli ascoltatori.
Attraverso i tre brani successivi i Tre Allegri Ragazzi Morti ci lasciano immergere nuovamente nel cuore del loro più recente LP: La Mia Vita Senza Te, che gode della meritata fama da secondo singolo estratto e viene perciò intonato da ogni spettatore presente in sala, La Via di Casa e Alle Anime Perse, belle in termini di testo e melodia come solo la semplicità più pura sa essere.
Codalunga e Di che Cosa Parla Veramente una Canzone mantengono il passo alternato tra gli ultimi due dischi, quasi a sottolineare l’invisibile filo che li lega e l’importanza che hanno avuto entrambi. Essi infatti hanno segnato una svolta epocale per i TARM: l’approccio ad un nuovo genere stilistico, il reggae-rock, e la prova inconfutabile del bisogno di rinnovarsi senza mai perdere di vista la propria essenza. La ventata di novità è stata accolta positivamente dai fan, i quali hanno colto l’impegno da parte del gruppo di voler stupire e coinvolgere emotivamente chi li sosteneva da anni, ed hanno ricambiato con un consenso praticamente unanime.
Ciò nonostante, si sa, davanti al richiamo delle origini è impossibile restare sordi, ed i Tre più uno colgono l’occasione per ringraziare tutti coloro che li hanno sempre seguiti e supportati, e fedeli al do ut des ci regalano un’esecuzione emozionante e viscerale de Il Mondo Prima, “grande classico” della discografia dei TARM. La folla s’infiamma, ne vuole ancora. Subito accontentati, con Il Principe In Bicicletta, storico EP targato 2000. Durante le primissime note una ragazza grida ‘E’ la mia canzone preferita!’, e non si fatica a comprenderne il motivo: i testi dei TARM sono intrisi di vita vera, sono credibili, autentici, speciali proprio perché profilano modelli di normalità, e nella cameriera che avrebbe voluto laurearsi e sogna ad occhi aperti un principe “a cavallo di una bici” ci si rivedono moltissime ragazze. Così tante che sarebbe stato impossibile impedire al gruppo di divenire, negli anni, megafono di un unico, grandissimo coro, amplificatore di pensieri collettivi.
Voglio ci fa saltare indietro nel tempo di nove anni, poco più di due minuti di ritmo incalzante e liriche anarchiche, dopodichè si ritorna all’ultimo album con Il Nuovo Ordine. I quattro ragazzi escono di scena; pochi istanti e Davide Toffolo sale di nuovo sul palco, stavolta con indosso una maglietta “anatomica” (bianca, con su disegnati fasci di muscoli rossi) self-made, ed improvvisa un teatrino che per i veterani dei loro live è divenuto ormai una sorta di rituale: incita il pubblico a mandarlo ripetutamente “a fanc*lo”– Toffolo ha spiegato in più occasioni che la scenetta non è altro che una maniera di far comprendere ai propri seguaci che dietro un gruppo musicale, sia esso il più grande, si celano esseri umani proprio come loro, che non vanno idealizzati o idolatrati – ed invita a rientrare gli altri componenti per proseguire con la serata.
Il secondo tempo è una vera e propria celebrazione dei brani che misero in risalto i loro vecchi LP: da La Ballata delle Ossa a Francesca Ha Gli Anni che Ha, senza escludere alcune memorabili rivisitazioni, come Mio Fratellino Ha Scoperto il Rock and Roll (versione italiana di un brano degli Art Brut) e Dimmi (cover con testo nostrano di Ask degli Smiths). Occhi Bassi e Mai Come voi, due tra le migliori dell’eccellente album datato 1999 Mostri E Normali, si susseguono in ordine di tempo e tolgono il fiato al pubblico, che canta e saltella senza sosta, memore di quegli “anni d’oro” che nonostante tutto, grazie ai TARM, non hanno tolto smalto al presente, non ne hanno oscurato la luce: Gianni Boy, recentissima, viene accolta con la medesima gioia da quell’oceano di volti coperti da maschere che non arrivano le labbra, e non celano dunque le centinaia di splendidi sorrisi.
La Tatuata Bella riporta i battiti cardiaci ad una frequenza ragionevole, ed accoglie gli ultimi tre brani in scaletta: Dipendo da Te, Quasi Adatti, ed un’inedita versione semiacustica di Ogni Adolescenza (voce, basso, accordi lievi di chitarra e tamburello) per concludere degnamente la serata.
”L’incredibile spectaculo de la vida” termina così. Con una folla deliziata, una papabile soddisfazione che si respira tutt’attorno ed un pizzico di dispiacere comune per la (sebbene generosa) ora e mezza di musica volata via troppo velocemente. Il tempo, si sa, è una questione ambigua e relativa, così come lo è la maggior parte delle cose nella vita; eccezion fatta per la bellezza della musica, che si fregia del titolo di assolutezza quando è avallata da un così ampio margine di consenso. Fu una folla intera di allegri ragazzi morti a stabilirlo, quasi vent’anni fa. La stessa che ancora oggi applaude, fervente più che mai di vita.
Valentina Benvenuti
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