– di Martina Rossato –
Ore 21.20 di mercoledì 31 marzo 2021. Seduta davanti al mio pc (tanto per cambiare) attendo la live session di Angelica che tra poco inizierà. Si tratta “solo” di un video, ma sono comunque emozionata perché, e sì, ahimè, non sono mai stata ad un concerto live. Avrei dovuto vedere il mio primo live al Forum di Assago proprio a marzo scorso, cosa che non è stata possibile per i motivi che tutti conosciamo. Anche per questo ho odiato fin da subito questa pandemia che ha scombussolato tutti i miei progetti e cancellato i miei appuntamenti con la vita che stavo iniziando a progettare e che adesso, per come era prima del Covid, mi sembra talmente lontana da risultare quasi inesistente, un frutto della mia fantasia.
È il secondo concerto live al quale partecipo in diretta. Il primo è stata una live session dei The Milk Carton Kids, duo indie folk americano, per il quale ho dovuto aspettare tarda notte per il puro gusto di seguire la diretta.
Sono felice mentre attendo che l’evento inizi. Avevo immaginato il mio primo concerto al Forum circondata da migliaia di persone. Avevo immaginato il frastuono intorno a me, il vociare indistinto degli spettatori costretti ad urlare per farsi capire dai compagni di avventura. Avevo immaginato il fragoroso applauso che accompagna l’accensione delle luci del palco e tutti gli sguardi improvvisamente rivolti dalla stessa parte.
Ma qui, ora, è tutto diverso. Sono sola, nessuna voce intorno a me e nessun applauso.
Mentre attendo mi sembra di stabilire un contatto diretto e forte con l’artista che è lì e si esibirà per me.
Eccoci, ci siamo. Parte un countdown. L’atmosfera calda di un salotto mi accoglie, entro subito nel mood. Angelica inizia a cantare.
La sua voce trasmette tranquillità. È rassicurante. Pazzesco! In questo periodo di lockdown, la musica è uno dei pochi appigli che abbiamo, e la sua musica ci fa sentire davvero “comodini”, al sicuro. Angelica è entrata nella mia stanza e sta “gridando” con immensa dolcezza che la musica dal vivo esiste ancora, ha dovuto solo deviare la sua via per raggiungerci, ma c’è, esiste e va avanti. D’altro canto, tutti abbiamo dovuto deviare un po’ rispetto ai programmi che avevamo un anno fa.
Torniamo ad Angelica. Le canzoni sono deliziose. I brani che canta sono otto, le otto tracce del suo ultimo album, Storie di un appuntamento. Questo è il secondo album della cantautrice di Monza dopo Quando finisce la festa, uscito nel marzo 2019, e mi sembra ne sia il seguito. Quando finisce la festa parlava di quella sensazione di piacevole malinconia di fine serata, che ritroviamo poi in molte situazioni della vita. Mi viene un po’ nostalgia di quelle serate tra amici, con una chitarra in mano a cantare. Perché, diciamocelo, tutte le belle serate, dopo immense chiacchierate, finiscono così. Mi viene da pensare anche che se basta un video trasmesso in live a farmi sentire così dentro l’atmosfera, essere ad un concerto deve essere un’esperienza assurda.
Storie di un appuntamento invece va oltre, è molto introspettivo e anche molto attuale. In questo interminabile anno, quanti appuntamenti sono saltati, quanto tempo invece abbiamo passato con noi stessi? E il suo album parla proprio di questo incontro allo specchio.
Di nuovo cado in una riflessione personale e penso che mai come in questi mesi tutti ci siamo messi davanti ad uno specchio e ci siamo guardati dentro. Di certo in questo periodo non ci sono mancate le occasioni di pensare un po’ di più a noi stessi e osservarci fino in fondo; dopo tanto tempo però direi che non guasterebbe poter essere di nuovo un po’ “festaioli”, come nel primo album. Così, torno a sognare un “vero” concerto. Anche perché, inutile negarlo, la qualità audio delle casse da cui sto ascoltando la live è abbastanza ridicola. Sapendo poi che in questi giorni, di concerti, in altre parti d’Europa, se ne stanno facendo, mi si stringe ancora di più il cuore.
Prima del Covid, gli unici concerti che guardavo in streaming erano quelli del passato, come i Pink Floyd a Venezia o qualche esibizione dal palco di Woodstock. Mi piace riguardarmeli all’infinito, cercando di immaginare come sarebbe stato essere lì, in quel momento, ma con la consapevolezza che non potrò mai essere lì sul serio. È come se la pandemia ci avesse in parte tolto la possibilità di vivere il momento, facendoci sentire fuori dal nostro tempo, come se il tempo pesasse sulle nostre spalle e ci facesse sentire vecchi, quando vecchi non siamo.
Insomma, in mancanza di alternative ci si può accontentare, ma non vedo l’ora che questo genere di live venga lasciato alle spalle per tornare alle vecchie abitudini.