– di Giulia De Giacinto –
Anticipato dai singoli Gestalt e Inospitale, Temporale è il nuovo album dei Gazebo Penguins, band icona della scena indipendente italiana. Un viaggio all’interno della mente umana, tra percezione, memoria e consapevolezza. Un concept album che intreccia neuroscienze, filosofia e musica, restituendo un sound tanto diretto quanto stratificato. Pubblicato venerdì 21 marzo per Dischi Sotterranei, l’album è stato registrato, prodotto e mixato da Andrea Sologni (Sollo), voce, basso e synth della band, presso lo Zoo Recording Studio di Correggio (RE) ed è il sesto disco del gruppo. Ho intervistato lui e Capra, alias di Gabriele Malavasi, voce e chitarra elettrica della formazione, per approfondirne il significato.
Ciao ragazzi e benvenuti su ExitWell! Temporale è un concept album che parla del cervello e della percezione. Come è nata l’idea di affrontare un tema così complesso e profondo?
Capra | È nata come una sfida: darsi qualche limite per vedere se, tramite quella costrizione, venisse fuori qualcosa di nuovo per noi. Sempre nostro, ma con una piccola deviazione. Nella fattispecie, durante il tour di Quanto, mi ero da poco riscritto a filosofia e dovetti sostenere un esame di filosofia della mente, legato alle scienze cognitive. Da allora ho iniziato a leggere molti libri su questo argomento e da lì è nata questa idea, che, in realtà, era un espediente per raccontare una storia che fosse attuale. Dopotutto ogni persona ha un cervello e si confronta con l’incertezza della propria percezione: nulla può garantire, ad esempio, che ciò che sta vivendo in questo momento non sia un sogno. Sono dei meccanismi fragili, e mi sembrava una storia bella da condividere.
Il titolo oltre al riferimento al lobo temporale, richiama anche l’idea di una tempesta emotiva o mentale?
C |Temporale è una parola fantastica perché racchiude tre significati: il lobo, un evento atmosferico e un aggettivo che indica qualcosa che si succede nel tempo. Tre significati in uno non eravamo mai riusciti a racchiuderli, di solito erano due.
Nel disco ci sono riferimenti a grandi filosofi come Nietzsche e Schopenhauer. Come avete lavorato per tradurre queste influenze filosofiche in musica e testi?
C | L’idea era quella di creare qualcosa di immediato, come pensiamo – o almeno speriamo – sia il nostro modo di fare musica. Non serve essere esperti per ascoltare Nubifragio: puoi godertela indipendentemente da ciò che sai sui buchi neri o sulle relazioni d’amore. Lo stesso vale per Temporale: volevamo dare alle canzoni una dimensione diretta, immediata, proprio come lo è la scrittura di un pensiero. Formare un pensiero è un atto spontaneo, naturale, che non richiede alcuno sforzo. D’altro canto, se provi ad andare un po’ più a fondo e ti chiedi come si forma un pensiero, ti rendi conto che esiste un’intera letteratura sull’argomento. E la bibliografia del nostro disco vuole proprio offrire spunti a chi desidera esplorare questo mondo. Immediatezza e riflessione sono le due facce di questo album.
Sollo | Oggi viviamo in un’epoca in cui tutto è immediato, siamo abituati a ottenere e consumare tutto subito. Ordini un pacco e il giorno dopo è già a casa tua, ma non ci si ferma mai a pensare a tutto il lavoro che c’è dietro. Vale lo stesso per la musica: ascolti una canzone di due minuti e mezzo senza sapere che, magari, ci sono voluti due anni di lavoro per realizzarla. Questo disco vuole raccontare anche questa realtà.
Il disco si interroga su quanto la nostra identità sia plasmata dal cervello. Secondo voi quanto il nostro cervello determina chi siamo?
C | Esistono diverse scuole di pensiero sul ruolo del DNA nella nostra vita. Alcuni sostengono che siamo completamente predeterminati dal nostro patrimonio genetico: se svilupperemo un tumore, se saremo inclini all’alcolismo o se nasceremo con una predisposizione alla criminalità. Altri, invece, ritengono che siamo tutti uguali a partire dal DNA, salvo qualche predisposizione, e che sia l’ambiente che ci sta attorno che ci definisce. Curiosamente, da padre di gemelli – maschio e femmina, non eterozigoti – ho scoperto, leggendo libri sull’argomento, che la maggior parte degli studi sull’interazione tra geni e ambiente si basa su gemelli omozigoti, separati alla nascita. Questi esperimenti, che confrontano gemelli cresciuti in contesti completamente diversi, magari uno in un ambiente culturalmente stimolante e l’altro in uno più deprivato, dimostrano che, in realtà, non c’è una risposta definitiva. Quindi sì, siamo il nostro cervello, ma possiamo fare di tutto per diventare qualcuno di diverso.
Temporale ha un flusso che ricorda il funzionamento del sistema nervoso, con segnali che vanno e vengono. Avete ragionato in questo senso anche sulle dinamiche sonore?
S | Penso che il forte piano intervallato al veloce lento sia parte integrante del nostro modo di scrivere. Sicuramente, negli ultimi due dischi – Quanto e Temporale – la nostra scrittura si è affinata, evolvendosi rispetto al passato. Prima il processo era più viscerale: ci trovavamo in sala prove, buttavamo giù le canzoni e i testi in contemporanea, spesso partendo già con un’idea chiara di un ritornello, sia a livello musicale che testuale. Questa volta, invece, abbiamo lavorato con più calma, partendo dalle produzioni. Alla nostra etichetta abbiamo fatto ascoltare prima le basi strumentali, e loro si sono fidati ciecamente. Gli ultimi due dischi sono diversi dai precedenti perché alla base c’è una tematica nuova, che ha richiesto un approccio produttivo differente. Ad esempio, per creare un ambiente sonoro che richiami il cervello e il suo funzionamento, ho utilizzando tappeti sonori di droni, sintetizzatori anni ’80 – ma usati in maniera diversa dal solito – e suoni di chitarra che si discostano da quelli che avevamo prima.
Avete introdotto elementi nuovi, come i ritornelli, ma senza perdere la vostra identità. È stata una scelta naturale o ha rappresentato una sfida per voi?
C | In questo disco, l’idea di tornare a fare qualche ritornello è venuta molto naturale. Volevamo che l’album rispecchiasse l’aspetto ricorsivo del cervello: il ritornello si è rivelato perfettamente adatto a rappresentare una complessità che ritorna continuamente su sé stessa. Secondo alcuni è proprio grazie alla ricorsività del cervello che si è sviluppato il senso di sé e, addirittura, la coscienza. È affascinante pensare che la capacità delle persone di riflettere su sé stesse sia un’idea relativamente recente e che, in natura, non sappiamo nemmeno se esista altrove.
Avete riscritto e modificato molte volte i brani. Quando avete capito che l’album era finalmente completo?
S | Ci affidiamo ad ascolti esterni: quando arrivo a un punto che mi soddisfa, mando il mix ad amici e colleghi per capire se ho fatto un buon lavoro. Una volta che ricevo le loro osservazioni, apporto le modifiche e, quando mi dicono che va bene, lo considero chiuso. Per il resto viene molto naturale: quando senti che nei testi hai detto tutto e sei convinto di non aver nient’altro da dire, lo reputo completo.
C | Quando inizi a lavorare di sottrazione, vuol dire che sei vicino alla fine. D’altronde “perfetto” significa “compiuto”. Per noi, un disco non sarà mai perfetto, però, a un certo punto lo consideri compiuto.
L’album affronta anche il modo in cui il cervello semplifica o complica la realtà. Secondo voi oggi tendiamo più a semplificare o a complicare le cose?
C | Secondo me a complicare. Se c’è un messaggio che vorremmo trasmettere con questo disco è che più sei informato, più sei consapevole di quello che accade. Gregory Bateson diceva che «l’informazione è una differenza che crea una differenza». Se questo disco può essere un’informazione – qualcosa che ti forma dentro e in più formare – allora sei in grado di operare una differenza. La realtà che prima sembrava complessa e inestricabile, conoscendola un po’ meglio, puoi cercare di renderla più vicina al tuo istinto. È vero che più sai, più le cose possono sembrare difficili, ma, allo stesso tempo, in certi contesti, essere informati e consapevoli di ciò che accade dentro di noi si può tradurre in una sorta di naturalità semplice di quello che si vive.