Mettiamo in circolo “Bio-“ un disco dentro cui la voce è assoluta protagonista. Marilena Anzini e l’ensemble vocale femminile Ciwicè che lei stessa dirige, mi regalano un ascolto decisamente spirituale che tanto sembra essere la vera summa di un lavoro che l’artista di Busto Arsizio sta portando avanti da tempo. Il canto come forma espressiva ultima e primigenia allo stesso tempo, dove la canzone d’autore si sveste di quei panni fatti di cliché e forme classiche e si dirige verso un teatro dell’anima in cui il canto, la voce e la sua potenza evocativa descrive la vita nel suo imperituro rapporto tra viventi e tra questi e le forme materica di questa terra. A corredo, senza alcun tipo di invasione, (cito testualmente dalla sua cartella stampa), troviamo anche “l’ammaliante arpa celtica di Ludwig Conistabile, musicista e musicoterapeuta, e la splendida voce di Nicoline Snaas, nota cantante e formatrice vocale olandese. C’è poi un piccolo intervento vocale di Giorgio Andreoli che suona anche un particolare scacciapensieri proveniente dalle steppe della Mongolia nel brano conclusivo dell’album”. Nessuna musica di sottofondo. Qualcosa su cui meditare e non solo riflettere. Ora sapete cosa attendervi.
In che modo la voce, nelle sue diverse sfumature e possibilità espressive, diventa per te uno strumento di connessione spirituale e consapevolezza interiore?
Il suono della voce è quello più connesso all’essere umano nella sua totalità: la vibrazione che parte dalle corde vocali si espande e fa entrare in risonanza per simpatia tutto il corpo, e in questa vibrazione confluiscono poi anche quelle più sottili come le emozioni e tutte le altre nostre parti ‘invisibili’, compresa quella spirituale. Studiare canto, cosa che faccio da tanti anni, è un viaggio di auto-consapevolezza prima ancora che un lavoro di tipo musicale e la voce è stata il fil rouge che ha accompagnato la mia vita e anche la mia crescita, soprattutto attraverso la Funzionalità e l’Improvvisazione vocale (con le insegnanti Maria Silvia Roveri e Rhiannon). Osservando la voce e le relazioni che essa tesse soprattutto con il nostro corpo, è possibile riconoscere le dinamiche e le resistenze che poniamo al libero fluire dell’energia acustica, e il suono è sia diagnosi che terapia: quando diveniamo consapevoli di una resistenza nel corpo, la vibrazione della voce ha già cominciato a scioglierla…forse stiamo trattenendo il suono, forse lo stiamo spingendo…osservare questo tira e molla e diventarne sempre più consapevoli, è la via che ci avvicina sempre più ad un equilibrio, nel quale la voce e le energie che porta con sé possono scorrere liberamente. Tutto ciò si esprime anche su un livello più elevato, spirituale, perché la voce è essenzialmente un suono che obbedisce alle leggi della fisica acustica più che alla nostra volontà: riconoscere questa cosa ci insegna che non possiamo controllare tutto, ci educa ad entrare in relazione con le leggi superiori della natura, che noi tutti esseri umani non possiamo fare altro che assecondare. In questo senso è una chiave d’accesso allo spirituale e può diventare strumento per entrare in relazione con il trascendente. Non a caso in tutte le culture spirituali e religiose le preghiere sono spesso cantate. Io pratico il canto gregoriano come forma di preghiera “strutturata”, ma sono convinta che attraverso la voce e un cuore ben disposto, qualunque canto può diventare preghiera, cioè connessione spirituale, così come qualunque gesto o azione…tutta la vita può essere preghiera: la voce la musica sono tra gli strumenti più potenti per imparare a farlo.
“Bio-“ esplora l’equilibrio tra la gratitudine per la vita e le sue difficoltà. E quindi la voce, il suono che ha… è solo un corpo narrante o una conseguenza di questa vita?
Penso entrambe le cose. Alla fine la voce, come detto prima, è una vibrazione vitale, ed è in sintonia con la nostra continua evoluzione: banalmente, Il suono della nostra voce cambia quando siamo raffreddati, o quando siamo molto felici, o dopo mezz’ora di meditazione. Un suono non è mai perfettamente uguale all’altro, così come non esiste un filo d’erba uguale all’altro, e anche noi, volenti o nolenti, siamo in continua evoluzione. La voce rivela all’esterno il nostro stato interiore sia fisico che energetico: è come un sismografo che registra ogni nostra anche piccola variazione, comprese le nostre sovrastrutture come i condizionamenti, i complessi, i modelli culturali o di pensiero… Può portare i segni del passato, ma è anche uno strumento per cambiare come dicevo nella risposta precedente. E lo stesso dicasi per la scelta di tutto ciò che poi diventa musica: i suoni, le tonalità, i metri ritmici…la musica non è un fenomeno a sé stante isolata dalla vita. Sento che la mia esistenza è intessuta di musica e anche che la mia musica è impregnata della mia vita: interagiscono, trasformandosi a vicenda. Quindi direi che Bio- è un corpo narrante che racconta le conseguenze della vita passata e che apre orizzonti verso il futuro.
Le improvvisazioni vocali e il circlesinging sembrano portare con sé un senso di comunità e ascolto reciproco. Trovo ci sia molto interplay. Quanto è importante per te questo aspetto relazionale nella forma che dai alla tua musica?
Sarà per la mia formazione nell’ambito della musicoterapia ma per me è fondamentale l’aspetto relazionale: è una sorta di punto di partenza e anche di arrivo. Con l’improvvisazione e il circlesinging mi capita di facilitare delle situazioni nelle quali si crea una connessione immediata anche tra sconosciuti, e questo è stupendo e toccante, ma nella realizzazione di Bio- (che è il terzo album di questo progetto) ho lavorato con un gruppo già molto rodato: le coriste che compongono l’ensemble Ciwicè lavorano con me da tanti anni e siamo un gruppo molto coeso nato proprio intorno al canto, dato che facevano parte tutte (tranne una) di un mio laboratorio corale; Michele Tacchi, uno dei bassisti più noti nell’ambito del jazz -e non solo- anche internazionale, è uno dei miei più cari amici e Giorgio Andreoli, che cura tutta la produzione in studio di registrazione, è “addirittura” mio marito! Anche gli ospiti Nicoline Snaas e Ludwig Conistabile sono amici carissimi oltre che musicisti straordinari. Insomma…sono molto fortunata ad avere un cerchio di amicizie così strette tra musicisti così in gamba. Spesso nel processo creativo ci si mette a nudo, e si creano così degli spazi di vulnerabilità: un clima di fiducia e di confidenza aiuta ad aprirsi con più facilità e questo è un bene per la musica e anche per la relazione: si arricchiscono entrambe sempre di più. Sono convinta che questo bene che ci lega passi anche nella musica, in modi misteriosi ma concreti, e spero che sia davvero percepibile e “contagioso”!
C’è un brano dell’album che senti particolarmente vicino al concetto di “preghiera laica”? Come si manifesta tutto questo nel canto?
“Pace in terra” l’ho scritta in un momento di sconforto, uno di quei momenti che stanno diventando, ahinoi, sempre più frequenti quando si ascoltano le notizie. Di fronte alle guerre nel mondo e alle sue orribili conseguenze soprattutto sugli innocenti, ci si sente impotenti: a me tremano letteralmente le ginocchia e ho bisogno di pregare. Non certo per invocare un Dio giustiziere che metta a posto le cose per noi, ma per trovare il coraggio e l’amore per continuare a coltivare la speranza nella pace. E se le decisioni internazionali non dipendono da me e da noi, possiamo comunque coltivare il rispetto, la gentilezza, la sensibilità, la consapevolezza e la pace nelle relazioni a noi vicine: l’importante è non soccombere al senso di impotenza, alla disperazione o, peggio, all’indifferenza. Pregare e cantare è dunque tutto quello che riesco a fare in certi momenti, e così è nata questa canzone, fatta di sole voci. C’è il filo conduttore di una favola raccontata in un linguaggio immaginario, e per questo universale, scandita nelle sue tappe da colori simbolici: l’azzurro, il rosso, il grigio e di nuovo l’azzurro. Le voci corali che creano la struttura musicale sono prevalentemente a bocca chiusa: è un suono contenuto all’interno, concentrato come un seme ed è piccolo piccolo ma luminosissimo. Ci sono sei parti vocali diverse che si intersecano e, sebbene siano tutti suoni piccoli, una volta messi insieme generano una grandissima energia che poi alla fine si apre in tutta la sua potenza quando il canto veicola le parole nell’invocazione finale. Sono convinta che la pace si costruisca anche con piccoli gesti e ovunque: sui social, nelle scuole, nelle relazioni, in una canzone.
Il suono degli altri strumenti (che sembrano comunque sparire) è un suono che riporta alla terra comunque. Come hai scelto chi e cosa far suonare?
Si tratta di mettersi in ascolto, di cogliere la relazione che c’è tra le diverse parti che compongono il brano -il testo, il suono delle parole, le armonie, il ritmo…- e poi chiedersi “Ha ancora bisogno di qualcosa questa canzone?”. Per esempio in “Tra il silenzio e le parole” che conclude l’album, si parla appunto dell’importanza del suono che è a mio avviso maggiore rispetto a quella delle parole stesse: il brano è pieno di riferimenti a linguaggi inventati e si conclude con una lunga coda nella quale si intrecciano le voci, la ritmica della chitarra e la linea di basso di Michele Tacchi che si libera in un intenso e trascinante assolo. L’intenzione del brano è di suscitare un senso di crescente vitalità, senza parole ma solo con la musica cantata e suonata. E mentre Giorgio Andreoli lo stava mixando, ho sentito che ci sarebbe stata benissimo la voce calda e profonda della mia cara amica olandese Nicoline Snaas, cantante e improvvisatrice straordinaria, che avrebbe interpretato perfettamente il feeling che sentivo per quel finale…e infatti è stata la miglior “ciliegina” che si potesse mettere sulla torta del brano e di tutto l’album. Non so come dire…si sente dentro chi o che cosa manca alla canzone, come se davvero te lo chiedesse lei!