– di Giacomo Daneluzzo –
È il 2017: ho diciassette anni e vado al concerto di Brunori Sas al Carroponte di Milano con mio padre, grande fan di De Gregori che sono riuscito a trascinare per la prima volta a un live della “mia” musica. Una volta arrivati vediamo arrivare sul palco, per l’opening, una figura esile, con i capelli fino alle ginocchia e un vestito lunghissimo. Con aria timida saluta il pubblico: «Ciao, io sono Lucio».
Ripenso spesso al mio primo incontro con Lucio Corsi. In quel momento era uscito da poco il suo Bestiario musicale, un’opera totalmente fuori dagli schemi in cui ogni canzone è dedicata a un animale simbolico e racconta una storiella poetica e delicata, su arrangiamenti ordinati e sognanti che riescono nell’intento di creare un paesaggio sonoro fiabesco, in linea con le parole. Il Bestiario arrivava dopo l’uscita di due EP, per certi versi acerbi ma già eleganti e consapevoli, l’esordio autoprodotto Vetulonia Dakar e il suo seguito ideale Altalena Boy, prodotto da Federico Dragogna dei Ministri.
Da quel concerto di Brunori Sas sono passati più di sette anni e altri due album in studio, ma Lucio Corsi è rimasto uno degli artisti italiani che amo di più. Ne apprezzo molto le trovate musicali, piene di citazioni e riferimenti ai grandi del passato, ma anche la capacità di farsi narratore e cantastorie, raccontando la vita e le persone con uno sguardo poetico, senza mai rompere la magia, ma anche la teatralità con cui si esprime, si veste e porta avanti il proprio progetto musicale ed espressivo a trecentosessanta gradi, sempre nuovo e sempre coerente a se stesso, in ogni caso privo di compromessi artistici. I suoi videoclip, per fare un esempio, non si limitano ad accompagnare le canzoni, ma sono delle vere e proprie opere d’arte a sé stanti, anche grazie al tocco sapiente di Tommaso Ottomano, regista di tutti i video, alle volte coautore delle canzoni, sempre e comunque compagno fidatissimo di Corsi nel suo percorso artistico. I suoi live, delle performance surreali e piene di autenticità, oltre che tecnicamente impeccabili, sono tra i migliori a cui si può assistere in Italia in questo momento.
La cosa che più mi stupisce di Lucio Corsi è come dopo il Bestiario, che era un disco originalissimo e ben riuscito, abbia trovato il modo di rinnovarsi restando fedele a tutto ciò che c’è stato prima: Cosa faremo da grandi? – prodotto stavolta da Francesco Bianconi dei Baustelle – è un album completamente diverso, in cui le storie e le atmosfere diventano più oniriche, eteree, ma viene mantenuta una forte componente narrativa e, si potrebbe dire, magica. Quelle di Cosa faremo da grandi? sono storie e avventure straordinarie, cioè che escono dall’ordinarietà, che hanno per protagonisti luoghi, cose, persone in cui è facilissimo riconoscersi e che parlano del mondo e della vita in un modo estremamente ispirato e originale.
Ma è con La gente che sogna, forse, che Corsi arriva a completa maturazione. Prodotto da lui stesso insieme a Tommaso Ottomano, si tratta di un album molto più movimentato dei precedenti, oltre che molto più citazionista, e vede alternarsi al proprio interno ispirazioni glam rock e art rock ad altre più vicine al cantautorato. Il tutto con l’estro fuori dal comune che caratterizza ogni passo dell’artista nel proprio percorso: La gente che sogna è un disco di livello altissimo, che può sicuramente piacere moltissimo agli amanti della “vecchia musica”, ma che ha una forza comunicativa tale che è comunque difficile esserne indifferenti.
È con quest’ultimo album che Lucio Corsi fa il “salto”, per così dire, e oltre a ricevere nuovamente grandi riconoscimenti da parte della critica inizia a farsi conoscere molto di più, anche fuori dai circuiti a cui è più abituato, anche grazie all’enorme apprezzamento che ricevono i suoi concerti, estremamente coinvolgenti. Il bacino di pubblico che segue con entusiasmo la sua attività si amplia ed è probabilmente a questo, in buona parte, che dobbiamo la notizia, sicuramente inaspettata, della partecipazione a Sanremo 2025, arrivata con un tempismo perfetto poco dopo la pubblicazione del singolo Tu sei il mattino – che peraltro a molti è suonato “più pop”, rispetto al solito.
E adesso?
E adesso è tutto da vedere. Sanremo è da sempre una scommessa, per gli artisti che arrivano dal panorama alternativo: un conto è arrivarci, che è già un grande traguardo, un altro è uscirne “puri”, senza sfruttare la visibilità data da una vetrina televisiva nazionalpopolare per racimolare nuovo pubblico, magari aprendosi a un modo di fare musica meno ricercato e più fruibile, quindi al pop nel senso più sociologico del termine. E a prescindere da come dovessero andare le cose, si tratta indubbiamente di una grande soddisfazione professionale, soprattutto dopo molti anni di gavetta e di continua crescita, come nel suo caso.
Io non posso sapere come andrà questo Sanremo e ancora meno come si muoverà Lucio Corsi dopo questo Sanremo. Sono molto curioso: certo, perché quello dell’Ariston è un palco su cui non mi sarei mai aspettato di vedere un artista così diverso, così controcorrente nel proprio modo di vivere la musica e l’arte; ma allo stesso tempo non posso fare a meno di essere anche un po’ preoccupato: non sarebbe né il primo né l’ultimo a uscire cambiato dall’esperienza sanremese – e non in modo positivo.
Quindi, per noi che lo conosciamo da tanto tempo, non resta che tenere le dita incrociate per il dopo e, nel frattempo, goderci lo spettacolo della partecipazione di uno dei progetti più brillanti del panorama indipendente al festival per eccellenza, davanti a tutta Italia. Per tutti gli altri: sono felice per voi, perché avete appena avuto l’occasione di scoprire un grandissimo artista.