Nel napoletano viene chiamato “Il Professore” perché in effetti lo è. Studioso, ricercatore universitario, divulgatore scientifico quanto sociale. E dunque, per non farsi mancare niente, anche cantautore. Lello Savonardo gioca a costruire le colonne portanti quanto meno di ciò che dovrebbe essere di dominio pubblico. Il suo nuovo disco ci piace. Si intitola “BIT GENERATION” ed è una chiara assonanza con la “Beast Generation”. Un lavoro che racconta come oggi la nostra generazione comunica e fa vita sociale, con le nuove dinamiche, vocabolari, tempi e soprattutto contenuti. Attraverso la musica d’autore pop che bene veste diversi stili, dall’elettronica “all’acustico” passando per drumming dal vago sapore swingato, Lello Savonardo fa divulgazione dei suoi studi, attraverso la metafora ed il racconto musicale. Due chiacchiere con lui potrebbero non finire mai…
Pop, elettronica, vita sociale, nuove tecnologie. Tutto collima o manca ancora qualcosa a questo quadretto?
Direi che i confini del “quadretto” sono molto fluidi, labili, costantemente in divenire. Il disco Bit Generation è un progetto culturale e cross-mediale che apre un ponte tra generazioni e che comprende diversi ambiti di approfondimento. Innanzitutto, il libro “Bit Generation. Culture giovanili, creatività e social media” (Franco Angeli, 2013) che contiene i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Università di Napoli Federico II sul rapporto tra universo giovanile e tecnologie digitali, con riflessioni teoriche e affondi tematici. I processi creativi della Bit Generation sono stati oggetto di seminari con Lorenzo Jovanotti, Roy Paci ed altri artisti che con me, all’Università di Napoli, si sono confrontati con gli studenti. I linguaggi giovanili sono al centro delle trasmissioni del programma dall’omonimo titolo di Radio Lab F2 dell’Ateneo Federico II, di cui sono coordinatore artistico. Il concept album Bit Generation rappresenta un’opera collettiva, realizzata con altri artisti come Edoardo Bennato, che firma il testo de “L’Equilibrista” e suona l’armonica in due brani, ma anche con Derrick de Kerckhove, guru della comunicazione, che interviene recitando dei versi nel brano “Always on”. Un disco di canzoni o di “canzonette”, come direbbe Edoardo, che si esprime attraverso le emozioni, cercando anche di far riflettere, oltre che divertire. Ogni ambito ha una sua specificità, ma tutti sono parte di un progetto culturale work in progress. Il disco racconta il mutamento culturale, sociale e tecnologico, con particolare riferimento allo spaesamento dell’uomo contemporaneo e ai nuovi linguaggi espressi dalle nuove generazioni. In particolare, il singolo Bit Generation, come altri brani del disco, tra cui “Spread Emozionale”, esprime il disorientamento, l’incertezza dei giovani, “selfie in cerca di un’identità”, ma anche il loro protagonismo, la loro predisposizione a “scendere in piazza se la gente muore”..perché “è una generazione che ha una sua visione..perché la libertà è partecipazione”, tanto per citare Gaber. La denuncia, il disagio, esistenziale e sociale, sono presenti nell’album, in diverse canzoni, come nel brano “I Nuovi Padroni”, in cui interviene il rapper e dj di Radio Deejay Gianluca Tripla Vitiello, un brano che racconta di “facce pulite..e oneste” che hanno “nuove ragioni contro tutte le rivoluzioni”, sempre pronti a generare “nuove separazioni”. Bit Generation si propone come progetto culturale ed emozionale, non ha ambizioni “rivoluzionarie”..ma la cultura può incidere sulle diverse visioni del mondo. Non credo che “tutto collimi” ma c’è sicuramente un filo che connette inevitabilmente le diverse dimensioni sociali, culturali e artistiche che compongono il puzzle Bit Generation.
Ma davvero dobbiamo pensare che tutto il mondo sia connesso? Esistono ancora realtà che eludono queste tecnologie?
Le potenzialità che le tecnologie digitali esprimono sono significativamente connesse ai diversi fattori culturali, sociali, economici e politici che caratterizzano i contesti di riferimento. Inoltre, le origini culturali e sociali, i livelli di istruzione dei potenziali utenti, ma anche le differenze generazionali, hanno un peso rilevante nella diffusione e nell’influenza sociale dei new media. Ad una tipologia di utenti che usano i media digitali, navigano sul web, interagiscono e creano contenuti, si affiancano individui che non accedono a tali tecnologie, per fattori economici, sociali o politici. Al diffuso digital divide, si aggiunge anche un participation gap, ovvero la mancanza di diritti di espressione (per controlli governativi) o l’impossibilità (per questioni economiche) di far sentire la propria “voce digitale”. Tali differenze, non solo intergenerazionali ma anche e soprattutto intra-generazionali, comportano differenti livelli di partecipazione nella rete. Alla luce di questo quadro, e al di là dell’enfasi che caratterizza le principali teorie sul web, la metafora del “villaggio globale” di McLuhan sembra non essere definitivamente compiuta.
Voglio parlare di Privacy. Praticamente inesistente. Dove andremmo a finire?
Lo scenario attuale pone inediti interrogativi sulle nuove forme di potere economico, politico e sociale, connesse allo sviluppo dei new media. In tal senso, il tema del controllo, della tracciabilità di ogni nostra azione digitale, del diritto alla privacy, sempre più spesso violata, di una pseudo libertà di “accesso” ai saperi, alle conoscenze, alle informazioni – che si accompagna ad una costante “sorveglianza” da parte di chi gestisce i dati digitali, siano soggetti privati o governativi – apre interrogativi inquietanti e complessi che meriterebbero un approfondimento.
E ora il disco. Sinceramente non l’ho trovato molto ispirato. Sbaglio nell’avere la sensazione di sentirti troppo preso e coinvolto dai messaggi da mandare più che dalla musica da arrangiare? (Sono sensazioni mie personali, ci mancherebbe?)
Il disco è il risultato del mio background culturale e musicale. Suono il pianoforte da quando avevo 4 anni, a 13 ho imparato a suonare la chitarra e iniziato ad ascoltare i cantautori italiani, come Edoardo Bennato, che è sempre stato per me un punto di riferimento, oltre al rock internazionale degli anni settanta, ma anche formazioni come i Police, gli U2, i Red Hot, o artisti come David Bowie, Beck, Prince o Sting. Non ho mai smesso di ascoltare il jazz, il blues e poi le nuove tendenze, dalla new wave alle posse, dal rock anni Ottanta al rap dei poeti urbani della Bit Generation. La mia musica si nutre di questo background culturale e della contaminazione tra i diversi generi musicali. Poi ogni ospite che ha partecipato alla realizzazione del disco ha portato il suo specifico contributo rendendo l’album un’opera collettiva e condivisa. Non mancano citazioni esplicite di Gaber, Battisti o dei Police e, nell’album, i suoni acustici, rock e pop si sposano perfettamente con l’elettronica. Direi che il disco è il risultato della combinazione di diversi elementi ed è il risultato di un lavoro collettivo. Non è sempre facile riuscire a comunicare le proprie emozioni. La musica esprime i miei stati d’animo, mi denuda, mostra il mio istinto, i miei sentimenti e, quindi, il mio io più nascosto. Sicuramente è più semplice scrivere un saggio scientifico, che non ti espone in prima persona, che cantare le tue emozioni. Quindi con la musica emergono molto di più le mie insicurezze e difficilmente riesco ad essere oggettivo. Cambierei sempre molte cose del mio disco, ad ogni riascolto. Tuttavia, alcuni suoni, parole, ritmi, suggestioni, continuano ad emozionarmi e a convincermi.
A chi pensi possa fare il giusto effetto questo lavoro discografico?
Le mie canzoni raccontano la Bit Generation che si nutre e si esprime attraverso la software culture. Sempre connessi, always on, attraverso i nuovi strumenti interattivi le nuove generazioni comunicano, si esprimono e danno vita a linguaggi creativi e produzioni culturali inedite. Le tecnologie influenzano le forme di socializzazione e di comunicazione. La Bit Generation è un’espressione ti tali processi e mutamenti, sociali, culturali e tecnologici. Il disco, attraverso suoni ed emozioni, racconta questa generazione, ma anche la mia, che è ormai, sempre di più, immersa nei new media, così come i nativi digitali. Viviamo nel flusso, in un costante mutamento, in continuo divenire. Siamo sempre in transito. In viaggio permanente. Le generazioni future vivranno interpretando i segnali del mutamento e creando nuovi linguaggi. Spero che l’album possa accompagnare il viaggio delle diverse generazioni che navigano nel flusso delle emozioni.
E discograficamente parlando, cosa hai raccolto e a cosa puntavi?
L’album Bit Generation sta ricevendo molti riscontri positivi di stampa e di critica e credo che il progetto sia stato compreso nella sua complessità, in quanto prodotto culturale. Tuttavia, sono felice che le canzoni stiano riscontrando interesse anche semplicemente per le emozioni che procurano. Il fine ultimo dei linguaggi musicali è emozionare.
Angelo Rattenni