Gli Spiral69 sono un progetto nato nel 2007 per mano di Riccardo Sabetti reduce già dai Pixel e come chitarrista dagli Argine. La raccolta delle esperienze e delle idee maturate da Sabetti nella collaborazione con queste due band hanno influito nella genesi del progetto Spiral69, ovvero una sintesi tra l’industrial e la darkwave dei precedenti progetti. Nel 2009 A Filthy Lesson for Lovers sancisce l’inizio di una prolifica carriera che porterà la band a collaborazioni, italiane e non, e a tour europei molto impegnativi. Prima che inizi il concerto, ad un tavolo di un Bistrot, mi ritrovo insieme con la band (Riccardo Sabetti frontman e polistrumentista insieme a Enzo Russo chitarrista e Andrea Freda alla batteria) a prenderci una birra e a parlare di musica. L’atmosfera è particolarmente calorosa e colloquiale, e tra una risata e l’altra decidiamo di cominciare.
È il 2016 ed eccoci subito ad aprire l’anno nuovo con una nuova uscita: Second Chance. La vostra carriera seppure giovane, è molto intensa e prolifica: quest’album come si colloca nel panorama dei vostri lavori e cosa rappresenta per voi?
Riccardo Sabetti: Fondamentalmente tra Second Chance e l’ep che abbiamo pubblicato sono passati comunque due anni, per una band che è stata costantemente in tour, e soprattutto in questo ultimo periodo abbiamo fatto veramente tanti concerti, molti fuori dall’Italia. Questo purtroppo ti costringe a passare molto tempo insieme (ride guardando gli altri componenti).
È comunque un periodo, quello del tour, di elaborazione e creazione e senti il bisogno di mettere per iscritto tutti questi stimoli che ti vengono da una parte e dall’altra. A differenza degli altri album, questo è il primo che abbiamo prodotto tutti e tre insieme mentre i primi due li ho fatti io da solo come one man band con varie collaborazioni. Poi dal secondo disco e dopo ancora con il tour dello stesso, si sono aggiunti Enzo e Andrea; insieme abbiamo scritto il terzo album, sempre a distanza di due anni dal precedente. Molte band si prendono un sacco di tempo, ma io ritengo che finché hai qualcosa da dire, continua a produrre. C’è stato tra il terzo disco e quest’ultimo una riduzione nella formazione, e siamo rimasti in tre, perdendo la pianista e siamo stati costretti a modificare sound. Io ed Enzo sono quindici anni che suoniamo industrial e questo ep è stato una sorta di assestamento. Quest’album racconta, sonoramente parlando, come siamo diventati noi in questi ultimi tre e quattro anni nell’esperienza del tour e l’affiatamento che si è generato nella band: qualcosa che non sta in sala prove, qualcosa di molto empatico insomma e qui si sente tantissimo! Io ho scritto i pezzi di voce e chitarra ma chiunque è intervenuto per dire quel che voleva fare del brano e ci siamo trovati subito tanto in linea. È un disco molto veritiero rispetto al solito.
Non a caso la domanda che volevo farti è un confronto tra gli altri vostri lavori e questo. Se tra i primi album e quest’ultimo c’è un innegabile crescita tecnica, mi pare di capire che questo disco sia molto più malinconico e molto più introspettivo, giusto?
Enzo Russo: Sì effettivamente questo è l’album che sentiamo più nostro. Quello che ci ha preso tutti e tre e ci ha unito. Forse il nostro disco più bello e credo che sarà dura farne uno uguale. Prima il tutto era approcciato molto diversamente nella creazione dell’album e poi dal vivo ci davamo dentro. In questo caso abbiamo prodotto dei brani molto più lenti e anni ’80 che però comunque poi rielaboriamo dal vivo.
Riccardo: Questo disco ha una marcia in più rispetto agli altri. Ho notato che quando abbiamo iniziato e finito di ascoltarlo, lo abbiamo fatto con il piacere di ascoltarlo e tutt’oggi lo sentiamo con piacere.
Ho visto che nella vostra carriera ci sono molte collaborazioni, molte di queste sono straniere. Ma in questo disco c’è la collaborazione di Mimosa, che mi ha molto stupito essendo lei un’artista di un genere e indirizzata ad un pubblico molto diverso dal vostro. Come è nata questa collaborazione?
Riccardo: Fa molto ridere questa vicenda. Quando tre anni fa abbiamo finito la collaborazione con Licia, la nostra pianista, mi scrive questa ragazzina, che all’epoca aveva vent’anni circa, dicendomi che suonava il pianoforte e che voleva suonare con noi. Noi andammo a vedere un concerto di Mimosa: lei fortissima, la band inascoltabile. C’era un dislivello troppo forte! Io sono stato schietto con lei dicendole che era fortissima…(sospensione imbarazzata)
Enzo: “…ammazza questi!” (scoppiano a ridere tutti di gusto)
Riccardo: Lei mi chiama tre mesi dopo e mi chiede una mano per la formazione della band e io le passo il numero del nostro ex batterista prima di Andrea, che adesso suona con lei. Abbiamo creato così un legame e mentre scrivevamo Second Chance, avevamo tra le mani un pezzo dove io ero convinto che servisse la sua voce, proprio quella di Mimosa. Sembrava che avessi scritto un pezzo per un’altra persona! Un giorno entrai in sala con lei, ed oltre ala bellezza di trovare degli artisti, sono rimasto colpito di come un’artista così minuta e solare abbia praticamente divorato il microfono, come se fosse live. Quando incontri un’artista del genere, è automatico che ti venga il desiderio di volerci lavorare insieme! Detto da me che non sono un cultore della musica italiana. Il brano che abbiamo fatto insieme, No Mercy, sarà un singolo fra l’altro!
Abbiamo già menzionato le numerose collaborazioni che avete avuto e da queste si vede distintamente che avete un contatto molto forte con il pubblico europeo. La scena Newwave/Darkwave come si percepisce da fuori confine? È qualcosa che è ancora in movimento o qualcosa che si è standardizzato ai vecchi canoni?
Enzo: Qualcosa di pop? È sì, è qualcosa di pop!
Riccardo: Dipende da dove vai certamente. Per esempio in Germania ci sono tantissimi festival darkwave, goth, industrial e così via. Importante è sottolineare come lì “dark” come termine non esista ma si usi al suo posto “goth”. Quindi lì è un prodotto di massa e solo adesso noi, crescendo un minimo, abbiamo un ufficio stampa tedesco piuttosto importante, e il nostro singolo Ritual ora lì in Germania viene mandato su radio tranquillamente. Fondamentalmente l’approccio con il pubblico va di pari passo con la cultura, chiaramente.
Enzo: Prima di tutto quando arrivi ti vengono a prendere alla stazione, ti portano all’albergo, ti pagano la cena, insomma sei servito e riverito fino al palco.
Riccardo: Quello che cambia è proprio il trattamento di fondo. Vieni rispettato come musicista, non sei uno qualsiasi.
Riguardo questo volevo togliermi una curiosità: ho visto che tra le date di questo tour avete ben due date in Russia: una a Mosca e una a San Pietroburgo. Per gli artisti italiani emergenti o underground soprattutto, l’Est Europa si sta rivelando una miniera d’oro.
Enzo: Anche Albano e Romina! Noi eravamo a Mosca quando avevano una delle loro date nella capitale russa e c’era la calca per entrare!
Riccardo: Questa cosa è vera. Sono paesi giovani, che si affacciano a tutto un mondo che a loro è completamente mancato e ora hanno voglia di scoprire. Varsavia è un incrocio tra New York e Berlino, una città bellissima e pulitissima. Noi abbiamo fatto due date in un anno a Varsavia nel tour precedente. Appena arrivati ci troviamo di fronte un palazzetto dello sport e già ciò ci lascia spiazzati, senza considerare che la band a cui aprivamo aveva più di settecento persone ad ascoltarli. Suoniamo a cannone e appena finito il proprietario del locale, impazzito per noi, ci inizia a promuovere; Due mesi dopo ci chiama e ci invita a suonare nuovamente a distanza di pochi mesi. Dopo di che siamo entrati a contatto con un ufficio stampa anche lì, che gratuitamente, facendo promozione all’album, ci ha organizzato il tour.
Progetti post tour? Riposarsi, probabilmente?
Enzo: Mai!
Riccardo: L’idea è quella di lavorare su questo disco per almeno due o tre anni, farne un progetto a lungo termine e ampliarlo con video ad esempio. A Mosca probabilmente gireremo anche un nostro live che poi penseremo a come sviluppare e distribuire. Raccogliere idee in giro, ecco. Per noi può rimanere ancora un po’ lì dove sta; non sentiamo la fretta di farne un altro anche perché per noi superare un disco che ti piace così tanto è veramente una cosa così complessa. Ci servirà un sacco di esperienza nuova e staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro.
Davide Cuccurugnani