Definizioni accademiche a parte, ci sono parole che assumono sfumature di significato davvero spiacevoli, ma che invece rimbalzano sui media con una facilità impressionante. Sono per la libertà di espressione e di pensiero, non invoco la censura. Però invoco il rispetto, senza dovermi sentir dire che, alla fine, sono pure una bacchettona. Siamo ben distanti dall’ironia, dalla satira e dall’irriverenza (must have 2k22) e certi abusi di linguaggio sono solo la punta di quell’iceberg enorme chiamato gender gap.
Proprio un giorno prima del dissing, la rivista Rolling Stone dava spazio, con un interessante articolo di Marta Blumi Tripodi, alla ricerca sul divario di genere nell’industria discografica condotta da Alessandra Micalizzi per il SAE Institute. Il comune denominator dell’architettura del gender gap insiste su un principio di credibilità che vede le donne inadatte ad alcune professioni nella filiera musicale. Ma non solo. La credibilità gioca anche su un piano di competenze: te pare che mo è pure brava? Ricordati l’equazione. Leadership: quante donne conosci che ricoprono posti di potere? Io, pochissime. E poi i cliché. Se sei determinata allora sei intrattabile, se sei timida allora sei scarsa. Praticamente come fai sbagli.
Per tornare brevemente al caso di Elodie, mi è capitato di leggere commenti di vicinanza alla cantante in misura nettamente superiore a quelli di condanna (parola forte!) nei confronti del giornale: lo stereotipo della donna da consolare va comunque per la maggiore. Anche se qui sto parlando principalmente del settore musicale, il divario di genere è un affare strutturale dell’intera società e diffuso in numerosi contesti lavorativi e non.
C’è bisogno di modelli positivi, c’è bisogno di un ripensamento dei processi di lavoro che esaltino cioè il talento delle donne. Lo scorso settembre, ho fatto qualche domanda alla allora nascente Equaly, la community composta da cantautrici, interpreti, musiciste, producer, foniche, tour manager, direttrici di produzione, addette stampa, promoter, a&r, legal, product manager, licensing manager, studentesse che vogliono unirsi per fare rete e per far sentire la loro voce contro la discriminazione di genere, e da cui emergono due concetti importanti per il cammino verso l’inclusione. Concetto numero uno: consapevolezza, cioè presa di coscienza da parte di tutti (uomini e donne) che il sistema così come impostato dà alle donne pochi vantaggi, perché il problema è reale e va riconosciuto per essere risolto concretamente. Concetto numero due: educazione. Educazione alla diversità come valore fondante di una società inclusiva, che trasforma le infinite differenze in infinite possibilità di lavoro, di crescita, di successo.
Consapevolezza ed educazione da applicare in ogni settore. E con tanta pazienza: a leggere le cifre del Global Gender Gap 2021, il divario uomo – donna si traduce infatti in 135,6 anni necessari per il raggiungimento della effettiva parità. Su scala internazionale, l’Italia è al 63esimo posto nella scala del gender gap, compiendo un balzo in avanti di 13 posizione rispetto al 2020, grazie alle politiche attente alla riduzione del divario come la Legge Gribaudo approvata a fine 2021 per la parità salariale.
Certo, poi casi mediatici come quello di Elodie – Dagospia riportano in auge la bizzarra equazione e tolgono molte speranze per il futuro. Lo capisco. La strada è lunga, ma guai a non provarci.
Siamo nel 2022 e ancora c’è gente che usa l’anno corrente per attaccare chi non si piega ai dogmi del politicamente corretto.
Ironia a parte, come sempre i liberal-progressisti si dimostrano dei bambini piccini incapaci di gestire la “libertà” che essi tanto invocano: la libertà, cari, comporta anche responsabilità. Vuoi la libertà di “fare come ti pare” (sempre che un abominio del genere possa esistere)? Benissimo, a noialtri la libertà di criticarti. Vuoi la libertà di diffondere bufale come il gender pay gap? Benissimo, a me la libertà di dirti che il gender pay gap non esiste perché ci sono i contratti collettivi e quella leggerissima differenza di paga non è dovuta al sesso ma al tipo di lavoro in prevalenza svolto da uomini (full time e lavori usuranti) e donne (part time e lavori d’ufficio).
E comunque Elodie come cantante è una mediocrità. E il fatto che sia donna non significa nulla.
Cope.