– di Riccardo De Stefano –
La festa appena cominciata è già finita, Sanremo ha i suoi trionfatori, i suoi sconfitti e i non pervenuti, per colpa e per disattenzione.
Mentre il palco dell’Ariston vede il traffico dei concorrenti da Zia Mara, diventata insostenibile tributo volto solo ai fini Fantasanremesi, ci rimane da chiederci cosa resterà di questa musica.
IL FANTASANREMO SGASATO
Prima di tutto, un incipit: sapete cosa si dice delle battute, no? Che a ripeterle, dopo un po’, non fanno più ridere. Che una gag funziona una volta, se fatta bene, e diventa insostenibile dopo cinque giorni.
I continui riferimenti a “papalina”, “Fantasanremo”, “zia Mara”, i fiori all’orchestra, le flessioni sul palco: ripetuto all’infinito, anche il sorriso si spezza e ci fa domandare fino a che punto gli artisti siano costretti a ridursi a queste cose per strappare quell’effetto simpatia al pubblico, in un continuo e sguaiato mercato della viralità.
Così la pantomima cui si sono prestati gli artisti in questi giorni è una perfetta cartina tornasole dello stato attuale della musica: un grande meme, un grande lol, tutto fatto per rimanere attuali, presenti e social.
THE WINNERS TAKE IT ALL
Togliamoci un sassolino dalla scarpa, ma non prima di aver ribadito una cosa. Si va a Sanremo a fare, perlopiù, pop e il pop è difficile da fare.
Così a vincere sono stati gli artisti che hanno portato il pezzo migliore. “Brividi” di Mahmood e Blanco è un pezzo scritto benissimo, perfetto per Sanremo ma che renderebbe grazia a qualsiasi disco (se ancora si facessero) o carriera di un artista.
Un brano con un testo non dozzinale, non più di tanti altri, con molte idee musicali e un hook nel ritornello per cui uccidere. Cantato bene e presentato ancora meglio da due fenomeni – uno conferma l’altro in procinto di esplodere ovunque ancora di più.
Mahmood si rivela essere autore dotatissimo e originale, molto più degli ammassi di (presunti) autori che sfornano canzoni in copia-incolla e che saturano la proposta mainstream ormai da troppo tempo, con poche e scarsissime idee. Per dire, ecco gli autori di “Domenica” di Achille Lauro”:
Testi di Lauro De Marinis, Gregorio Calculli, Matteo Ciceroni, Banf, Simon P e Davide Petrella
Musiche di Banf, Gregorio Calculli, Simon P e Matteo Ciceroni.
Serve aggiungere un commento? E questo trend – pura speculazione editoriale – è perpetuato da quasi tutti, caterve di autori per scrivere un paio di melodie scadenti, eppure gli unici col potere di arrivare su quel palco e in quello show.
IL SANREMO POP-CORN
Detto questo, il resto fa davvero sospirare. Basterebbe vedere tre prodotti pop e quello che hanno ottenuto.
Rkomi, ex rapper ripulito, fa l’achillelaurata presentandosi vestito di pelle e cantando un proto-rock per cercare di seguire la wave “rapper nuove rockstar” e forse per emulare l’attitude dei Måneskin, che già avevano trionfato l’anno scorso. Il risultato finale dimostra come non basta il vestito a fare l’artista e che spesso e volentieri fare il rapper (o quel che è) dovrebbe bastare, perché per fare rock (cioè pop) serve talento, che nessuna produzione, né nessun autore, può darti.
E poi proprio Achille Lauro, di cui abbiamo già scritto, dimostra come il palco di Sanremo è generoso, ma anche brutale: trampolino di lancio o fossa delle Marianne, questa volta ha intrappolato Lauro nel suo cliché, di cui non ha parlato quasi nessuno e che al più fa strappare un’occhiata distratta, quando non uno sbadiglio.
Gianni Morandi ha tirato fuori il pezzo della nuova, di nuovo, giovinezza, anche grazie alla macchina che ha dietro, specialmente quel Jovanotti, autore unico che diventa sigillo di qualità e che porta caterve di voti e attenzioni a un pezzo facile facile, senza pretese, leggero come una mattina di primavera. L’“operazione simpatia” è furbetta e ben pensata, e ottiene molto più di quanto avesse senso dargli: premio alla migliore performance nella serata delle cover – che cover non è stata, visto che i due hanno presentato pezzi propri – e il trionfo della Sala Stampa col Premio Lucio Dalla, premio di consolazione di un terzo posto nella classifica finale che urla vergogna.
FOR HER MERCHANDISE HE TRADED IN HIS PRIZE
E qui ci sarebbe da parlare per ore, della Sala Stampa e della “giuria di qualità”.
Perché se questa classifica conferma qualcosa è che il pop fatto bene, comunque vince, come visto con Mahmood e Blanco e con Elisa al secondo posto – meritato, ma nulla più di quello.
Il pubblico premia chi vuole e Gianni al terzo posto è scontato, così come a seguire Irama, sangiovanni, Emma e, com’era prevedibile, La Rappresentante di Lista in basso, Giovanni Truppi al diciannovesimo, Tananai ultimo.
La gente vota quello che ama e ama solo quello che già conosce e riconosce. Non a caso ricordiamoci che la vittoria di Mahmood di qualche anno fa fu dovuta all’ingente peso della Giuria di Qualità e della Sala Stampa, che di fatto ribaltò il risultato del voto popolare, con enormi mal di pancia di Ultimo e di parte del pubblico (e della politica) spingendo per limitare la Giuria di Qualità.
Per questo fa male, se non malissimo (anzi, «fa male tantissimo»), vedere gli altri premi come sono andati: se il Premio della Critica Mia Martini andato a Ranieri ha anche senso, per il brano e per la carriera di un artista comunque onesto con sé e con la propria musica, gli altri due sono vergognosi.
La Sala Stampa celebra Gianni Morandi, autore di una canzoncina dimenticabile che avrà anche airplay radiofonico, ma di cui non sentivamo il bisogno. Il miglior testo va a Fabrizio Moro, e questo è davvero oltraggioso.
Non tanto perché doveva vincere Giovanni Truppi, autore comunque dell’unico testo nettamente ascrivibile al “bello”, quanto perché chi lavora in questo mestiere dovrebbe avere come obiettivo il raccontare e l’analizzare quello che c’è al di là del mero appagamento del pubblico. Perché il pop va benissimo ma non si può, né si deve, soffocarci dentro.