C’è sospensione, c’è un viaggio che sembra definito soltanto dalla geografia ma che in fondo sembra restare in bilico, in balia. La lirica poi sembra davvero figlia di questo lockdown, sembra come nel video ultimo del singolo “Six Years Later”, dentro una Londra deserta. Sembra si possa intravedere qualcosa o qualcuno in fondo ma è solo una sensazione sperata. “Offshore” che il cantautore Marcello Capozzi ci ha restituito a stagione di 3 brani ciascuna, come fosse una serie televisiva… “Offshore” è un disco di forma pop, di sapore rock, di distopie ma anche di romanticismi. E poi è un disco “indie” e come tale gli si perdonano i cliché di questo filone ormai ancorato alle nostre abitudini…
Mi colpisce quando leggo: “tra Italia, Inghilterra e altre dimensioni”. Quali sono?
“Offshore” narra una storia unitaria che dilata sempre di più lo scenario di riferimento. Vi è un’impasse iniziale, poi una migrazione, uno spostamento geografico, una transizione che si gioca all’interno delle società umane. Tutto questo culmina in quella che nel comunicato stampa definisco “svolta ontologica” della narrazione, che si verifica nel momento in cui il protagonista del racconto si imbatte, per sua sfortuna, in episodi legati al terrorismo internazionale. Tali circostanze permettono al racconto di trovare un’apertura inattesa, una proiezione verso l’oltre e su uno scenario molto più ampio di relazione totalizzante con l’Essere. La dimensione dell’Esistente quotidiano all’interno della società viene superata in favore di una visione generale ed immanente dell’Eterno: un’ulteriore dimensione esperienziale e concettuale.
Questo disco lo hai introdotto dentro “stagioni”, piccole release digitali. Oggi il disco a racchiuderle assieme. C’è altro ancora? C’è un disco fisico?
Sì, le stagioni hanno introdotto la pubblicazione dell’album vero e proprio su supporto fisico in CD (con un bellissimo progetto grafico dell’illustratrice Jessica Lagatta). Le varie pubblicazioni hanno rappresentato un esperimento comunicativo, ma l’album è concepito per essere fruito auspicabilmente in un unico flusso di ascolto.
“Six Years Later”: ci colpisce questo suono dissonante ed è quasi dissonante anche il matrimonio con immagini apocalittiche di una Londra deserta. Come nasce questo brano?
La primissima bozza del brano l’avevo creata per il documentario “Il colore di sera” di mio fratello Spartaco. In realtà, per il documentario si puntava a utilizzare un brano di Cesare Basile, ma c’era bisogno di una soluzione alternativa nel caso da Catania avessero risposto picche. Poi Basile ha dato il suo assenso e così ho potuto rimettermi a lavorare sul mio brano con più calma, con altri obiettivi produttivi. A quel punto, ho iniziato a riflettere sull’idea di creare un episodio fugace per suggerire l’idea di una transizione temporale nel mezzo della narrazione di Offshore, una sorta di didascalia musicale. Il brano è dissonante in alcuni elementi fluttuanti ma è costruito anche su elaborazioni sinfoniche. Armonia e dissonanza coesistono. Alla stessa maniera, l’incrocio con le immagini può suggerire tanto un sinistro svuotamento, uno scenario apocalittico, come dici; quanto la quiete del risveglio, l’attesa leggiadra di un (ri)cominciamento.
E dunque la pandemia, le restrizioni e tutto quello che stiamo vivendo: anche questo ha determinato “Offshore”?
Il contesto pandemico non si applica a “Offshore”, essendo stato composto per l’89% in periodi antecedenti al Covid-19. Ma ne ha sicuramente determinato le modalità produttive (collaborazione a distanza, videochiamate, maggiore quantità di tempo trascorso in casa, eccetera).
E parafrasando questo titolo, se lo prendo dal verso corretto: stiamo in balia di cosa?
Non so risponderti in generale, ma personalmente vivo un profondo senso di inadeguatezza rispetto al tempo che viviamo. Mi sento disancorato e forse sono proprio in balia di questa mia mancata connessione con le modalità espressive del nostro tempo. Ma il personaggio di Offshore è molto più in gamba di me. Nonostante io gli abbia perfidamente messo intorno clamorose sventure, lui non è in balia di niente. Per lui la caduta è una risalita, il precipitare è un volo: anche nel perdersi ha una destinazione. Lui attraversa il nostro tempo, gestisce l’imponderabile, varca “la porta dello spavento supremo”, con una tale forza armoniosa, da darci ad intendere che la morte stessa non sia riuscita a fargli neanche un graffio. Questo personaggio immaginario è un eroe marginale.