– di Assunta Urbano
foto di Andrea Lombardini-
Sabato 6 novembre. La pioggia blocca l’intera Capitale. Tuttavia, il desiderio di assistere ad un live non ferma i fan. L’appuntamento è fissato al Pigneto, precisamente a Largo Venue, per il concerto de Le Ore.
La band è composta dal viterbese Francesco Facchinetti (no, non quel Facchinetti) e dal romano Matteo Ieva. Nel curriculum vitae dei due compaiono numerose esperienze lavorative, tra cui la partecipazione a Sanremo Giovani nel 2018 con “La mia felpa è come me”.
Dopo un anno di silenzio, Le Ore sono tornate la scorsa estate con l’EP “Che fine abbiamo fatto” e sembra che le lancette non vogliano più smettere di girare.
Non ho potuto assistere al live, così ho intervistato telefonicamente il duo per farmi raccontare dell’esperienza di ripresa delle attività e del nuovo singolo.
Siete finalmente tornati sul palco, come avete vissuto questo tanto atteso momento?
Francesco: è stato molto emozionante, il primo concerto tutto nostro e il più importante fino ad ora. Due anni fa ci siamo esibiti al Monk, a Roma, nel contesto di Roma Fiocca. Eravamo penultimi e dopo di noi c’era Clavdio. A Milano abbiamo suonato all’Apollo, per Spaghetti Unplugged.
A distanza di così tanto tempo, pensavo di aver bisogno del libretto delle istruzioni per ricordarmi come si sale su un palco. [ride, ndr] Quando è partita la magia, abbiamo visto le persone, è stato tutto semplice. È stato bello anche riguardare i video su Instagram, ma abbiamo subito sentito la mancanza di quell’atmosfera. Un po’ come una dipendenza. Ci sentiamo ancora più aggrappati a questa realtà.
È bello sentire questo racconto, così come è entusiasmante tornare a vivere i concerti, in un periodo storico in cui tanti musicisti si sono visti costretti, purtroppo, a mettere in via definitiva il loro strumento nella custodia.
Hai detto una cosa toccante. Considerando i sacrifici, le delusioni che ognuno di noi subisce nel proprio percorso artistico, è triste che si debba chiudere un progetto, per cause esterne. Mettere la parola “fine” è dolorosissimo. Mi azzardo nel dirti che, per fortuna, siamo sopravvissuti, anche grazie ad una serie di cose che fanno da corollario al nostro lavoro.
Secondo me, andrebbe raccontata di più la storia di chi non è riuscito ad andare avanti.
Nel percorso de Le Ore c’è stata una sorta di upgrade. La band è formata da Francesco Facchinetti e Matteo Ieva, ma si è aggiunto un terzo componente. Chi è il fantasma e cosa rappresenta?
Tutto è partito dall’EP che abbiamo pubblicato quest’estate “Che fine abbiamo fatto”, una sorta di nostro check point. Durante il lockdown abbiamo approfittato per concentrarci sulla musica, evitando di essere troppo attivi sui social. Ci siamo resi conto che c’è stata una degenerazione sia dei toni che dei contenuti. Tanto inquinamento e molta disinformazione.
I nostri nuovi brani sono malinconici, come lo sono ugualmente altri che vedranno la luce a breve. È un “che fine abbiamo fatto” anche come generazione, immaginando dove potremmo arrivare.
Dunque, il fantasma della copertina si carica del potere dell’invisibilità. Quell’immagine sta a indicare turbamenti, cose non dette. Sapevo che avrebbe avuto un’evoluzione, non ha solo un aspetto negativo. Infatti, quando siamo ripartiti nella dimensione live, ci sembrava giusto avere un fantasma anche sulla copertina di “Cotto”. Questo spettro ci accompagnerà nel futuro.
Ecco, parliamo proprio del nuovo singolo “Cotto”, pubblicato mercoledì 3 novembre.
Il fantasma di “Cotto” è un po’ più ironico rispetto agli altri. Parla di un amore a distanza, con due innamorati bloccati in città diverse. È la narrazione di quel periodo di chiusura, ma rapportata al fermento attuale. Si tratta di una mia visione, Matteo poi mi ha assecondato nell’arrangiamento, inserendo delle atmosfere sognanti e delle chitarre che seguono lo stesso filone giocoso del testo. La produzione di Federico Nardelli e Giordano Colombo ha esaltato quello che volevamo da questo pezzo.
Prima mi parlavi dell’inquinamento attuale nel mondo dei social. Una degenerazione che viene spesso attribuita ai più giovani, anche se non si tratta di un dato veritiero. Se le nuove generazioni si sentono incomprese e invisibili, cosa potrebbero fare, secondo te, per farsi sentire?
L’Italia non asseconda le nuove generazioni, a meno che non abbiano i capelli bianchi. [ride, ndr] Da una parte, la società ci fa sentire deresponsabilizzati, però, dall’altro canto non siamo più bambini, siamo adulti. C’è una spaccatura che è un paradosso. Conosco tante realtà che fanno di tutto per farsi ascoltare, come nel caso dei ragazzi del Cinema America. Non si può generalizzare in ogni ambito, ma un dettaglio che forse manca e in cui si può di certo migliorare è il coraggio di scendere in campo.
Siamo cresciuti con l’uso dei social network, ma i like e i follower non hanno lo stesso peso delle persone che scendono in strada. Per quanto mi riguarda, vorrei spezzare una lancia nei confronti della Gen Z. Non perché sono di parte, ma proprio guardando chi è venuto prima di noi: se siamo deresponsabilizzati è soprattutto colpa di chi non ci ha mai trattato come adulti.
Le Ore producono ogni canzone e ne dirigono e montano i video. Avete partecipato a Sanremo Giovani, scritto per altri artisti e preso parte alla colonna sonora della serie animata Penny On Mars. Se un po’ “Che fine avete fatto” lo sappiamo, “che fine farete”, invece, nel futuro?
Matteo: Ci piace lavorare in qualsiasi cosa comprenda l’arte, non solo la musica, ma anche il cinema. Sicuramente in prospettiva vediamo sempre di più la possibilità di collaborare con altri colleghi, come autori, produttori o registi di videoclip. L’importante è lavorare di creatività.
Francesco: Ci piace essere tante cose.
Matteo: Magari alla prossima chiacchierata ci troverai proprietari di una pizzeria. Chissà.