– di Manuela Poidomani
e Giacomo Daneluzzo –
La Tundra, band punk/rock di stanza a Pisa, ha recentemente pubblicato il suo ultimo singolo, intitolato “Perla strada”, di cui è stato reso pubblico anche un videoclip. Abbiamo intervistato il frontman Daniele Piai, un artista ironico e simpaticissimo, per approfondire il significato del singolo e per parlare del percorso artistico del gruppo, in una videochiamata su Skype: all’ora prestabilita ci “incontriamo” virtualmente e, dopo esserci presentati e aver chiacchierato un po’, inizia l’intervista vera e propria.
Giacomo | Su internet ho letto sia “la Tundra” che “i Tundra”: qual è l’articolo giusto giusto?
È una domanda importantissima! Noi ci teniamo a dire che siamo femmine, quindi “la Tundra”.
Manuela | Il titolo del vostro ultimo singolo, “Perla strada”, è scritto tutto attaccato; qual è il gioco di parole?
Dopo aver scritto il testo mi sono accorto che diceva “per la strada” e poi “davanti ai locali” e ho trovato un gioco di parole nel campo semantico della gioielleria, facendolo diventare “perla strada” e “diamanti locali”: nella prima strofa le parole sono modificate, nella seconda sono regolari.
Giacomo | A proposito dei testi, li scrivi tu o sono collaborativi?
I testi sono miei e anche le melodie, poi lavoriamo insieme all’arrangiamento.
Giacomo | Sia nell’EP Tundra che in “Perla strada” mi sembra che nei testi ci sia dell’autobiografia, è così?
Assolutamente! Infatti in questo periodo di immobilità non scrivo più un cazzo.
Manuela | Che cosa intendi con la frase: “Estinguersi è la regola, sopravvivere è l’eccezione”?
Ho letto questa frase in un manifesto ambientalista in inglese e mi piaceva. Il ritornello parla di caccia, di tempi moderni e tempi primitivi: tutti moriamo, ci estinguiamo, è un circolo gigantesco.
Manuela | Nel comunicato stampa si legge che “Perla strada” è un viaggio onirico; quali sono i luoghi di Pisa da cui prende piede questo viaggio onirico?
È successo tutto in una passeggiata lungo l’Arno, in cui una persona, molto ambientalista, raccoglieva compulsivamente della spazzatura; infatti era anche strano: esci con una persona che si mette a raccattare i rifiuti in giro…
Giacomo | Nell’EP Tundra c’è un’atmosfera piuttosto cupa, una narrazione molto focalizzata sul malessere percepito in certe situazioni. A livello di scrittura le condizioni più negative, più cupe, sono più ispiratrici rispetto ad altre?
Sono le uniche ispiratrici, per me. Se stai bene non ti metti lì a scrivere cose. Poi dipende, magari qualcuno lo fa, io no. Se non stai un po’ male non scrivi niente, è una cosa liberatoria.
Manuela | In “Perla strada” ma anche nell’EP ho sentito un animo molto punk/rock, nonostante un approccio anche cantautorale. Che influenze musicali e/o liriche ci sono nella produzione artistica?
Le influenze di tutta la band si possono riassumere con: Arctic Monkeys e Verdena, due gruppi che mettono d’accordo tutti. A livello di liriche invece non credo di averne; qualche anno fa scrivevo solo in inglese, poi ho iniziato a scrivere in italiano. L’inglese è come una barriera: a un certo punto smetti di vergognarti e inizi a buttare e metti le parole che ti tornano.
Manuela | Per i testi in italiano c’è stato qualche cantautore che ti ha ispirato in particolare?
Non credo. Ascolto tanto cantautorato, ma non penso di aver attinto a un certo tipo di scrivere. Magari a livello di subconscio invece sì.
Giacomo | Durante una conferenza stampa a cui siamo stati Wrongonyou ha raccontato qualcosa di simile, dicendo che scrivere in inglese era una sorta di armatura per nascondere ciò che stava dicendo e che, quando ha iniziato a fare canzoni in italiano, si vergognava perché gli sembrava di mettersi di fronte alla parte più intima di sé. Ti ritrovi in questo discorso?
Sì, capisco e mi ritrovo molto in questa cosa. Ormai è qualche anno che faccio canzoni in italiano, ma soprattutto all’inizio era strano, può essere anche un po’ un trauma.
Manuela | Allo stesso modo all’italiano che ascolta la musica il testo in italiano arriva di più; in Italia per fare carriera devi cantare in italiano, non ce n’è.
Lo volevo dire anch’io: cantare in inglese è una mossa poco intelligente, dal punto di vista discografico, perché qua in Italia devi essere geolocalizzabile: è inutile voler fare le canzoni in inglese, perché alla fine devi puntare a piacere a Pisa, a Milano, non al mondo. Poi per cambiare lingua devi rimodificarti, è sempre una scommessa – che vale la pena fare, comunque.
Giacomo | Nel caso riaprissero i live tornereste subito a fare concerti o fareste prima uscire altro?
Alla prima occasione usciremo da quella cazzo di sala prove, non se ne può più! Chissà quando… Speriamo quest’estate.
Manuela | E invece sul disco in uscita? Qualche anticipazione? Qual è l’idea alla base del disco?
Non sappiamo ancora la data esatta, però uscirà in primavera. Il prossimo singolo estratto dall’album invece deve uscire il 19 febbraio e sarà l’ultimo singolo prima di pubblicare il disco. Per quanto riguarda l’idea alla base ti direi di no; ci sono dei temi che accoppiano alcune canzoni, ma non c’è un filo conduttore che le prenda tutte. Forse il concept sono io. Spazio molto: non è neanche tutto d’amore. Il suono invece amalgama un po’ il lavoro, più che i testi. C’è molta evoluzione rispetto all’EP, che disconosciamo, almeno per la metà. Perché tu scrivi, dopo un mese suoni quello che hai scritto, dopo due mesi lo porti live e dopo un anno lo registri; e a quel punto ti è già “passata”, non ti piace più. Stiamo già facendo le produzioni del secondo album, forse siamo stupidi. Anzi, più che altro siamo inquieti.
Giacomo | Come sta il panorama punk e rock italiano? È morto o è ancora in buona salute?
Dipende da che cosa s’intende per “in buona salute”. Sicuramente c’è ancora gente che fa qualcosa. Di recente ho scoperto Le Sacerdotesse dell’Isola del Piacere. I Verdena fanno un rock sperimentale che vale davvero la pena di ascoltare. Poi senza dubbio come tipologia di musica non è che venda molto, quindi non li trovate nelle playlist e in classifica. Forse un’eccezione sono gli Zen Circus, miei compaesani che hanno fatto delle cose di questo genere. Sicuramente in città come Milano, Roma e magari anche Bologna c’è un po’ più di fermento rispetto a Pisa; anche se a Pisa comunque qualcosa c’è, esiste un sottobosco.
Manuela | Ti trasferiresti mai?
No, no, se no dovremmo trasferirci tutti! Devo stare qua. Tra l’altro il mio chitarrista, Matteo, quella merda, si è trasferito a Bologna, testa di cazzo. Questo scrivetelo, eh! (ride, ndr) Lancio un appello: Matteo, torna a Pisa, devi tornare a Pisa!