Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Luca Eri, che ha pubblicato da pochissimo un nuovo singolo dal titolo Apocalisse. Un brano che vi scatenerà i pensieri più folli, quelli che si hanno alla fine di tutto, alla fine del mondo, scanditi dal timbro di voce più particolare che troverete nella scena del pop underground. Un nuovo capitolo per il cantautore di Roma (che muove tra indie-rock, cantautorato e venature elettroniche) che nasce per dare risposta alla domanda: ‘Cosa resterà del nostro amore, il giorno della fine del mondo?’. La risposta? Non un’ombra, ma sicuramente qualcosa che viene dalla luce. Ecco cosa ci ha racconta
Un singolo con un titolo del genere, Apocalisse, nel 2020. È un caso?
Åpøcalisse, in realtà, è stata scritta a settembre dell’anno scorso e sinceramente non so se si sia trattato di una forma di preveggenza (ride). Il caso ha poi voluto che ogni volta che ci siamo visti per lavorare su questo pezzo, il tempo non è stato dei migliori: pioggia, vento, freddo, mai una giornata di sole.
Certo, ora vorrei evitare di passare come lo iettatore di turno, e allora sì: in realtà c’è un mezzo lieto fine. Mezzo, però: altrimenti avrei raccontato solo una favola dove tutti poi, eccetto i cattivi, avrebbero continuato a vivere felici e contenti.
Ci racconti la connessione che c’è tra brano e video?
Io credo ci siano dei brani nati per essere capiti, altri che invece devono rimanere nel mistero: ecco, Åpøcalisse è uno di loro.
Ricordo che prima di girare il video ho parlato più volte con il regista – Riccardo D’Alessandro – ed entrambi cercavamo di esporre le nostre idee in relazione ai vari significati del mio pezzo: alla fine la sensazione era sempre la stessa, ovvero che nessuno di noi due fosse riuscito a comprendere fino in fondo il significato del mio testo. Ecco, io credo sia questa la forza di Åpøcalisse. Del resto, ed è un concetto che ripeto spesso nel corso delle interviste, Ungaretti diceva che una poesia è tale se contiene in sé un mistero e Åpøcalisse è una roba misteriosa.
E, a proposito, come hai passato il periodo della quarantena (lockdown?)? Qualcosa di buono?
Il periodo del lockdown è stato un po’ complesso, anche perché il padre della mia compagna è stato ricoverato in terapia intensiva a causa del Covid; però, se dovessi fare un bilancio, tutto sommato sarebbe positivo: mi sono dedicato alla lettura, alla musica, alla meditazione e ho cercato di trascorrere il mio tempo nella maniera più piena possibile. Tra l’altro, ho lavorato da casa: la didattica a distanza è stata un’esperienza davvero particolare, che mi ha insegnato molto e mi ha fatto crescere come docente.
Quali sono le tue influenze musicali? Qualcosa che non ci aspetteremmo?
Mi ispiro sicuramente a Manuel Agnelli e all’indie italiano di fine secolo scorso, inizio nuovo millennio. Però poi ascolto un po’ di tutto, eccetto alcuni artisti che proprio non riesco a reggere.
Un esempio?
Mi farò sicuramente qualche nemico… ma sicuramente Freddie Mercury è tra gli insopportabili. E anche i Led Zeppelin. Ma forse tutto ciò è dovuto soltanto a traumi giovanili.
Chi è Luca Eri quando non suona? E come starebbe se non suonasse?
Luca Eri è un insegnante di storia e filosofia in un liceo di Tivoli, è un compagno da sogno per la sua compagna, è un padre buono e scellerato per i suoi figli: Gorgia e Sveletto, che poi sono il mio cane e il mio gatto. Ma per favore facciamo finta siano i miei figli, altrimenti ci rimangono male.
Esiste ancora una scena musicale a Roma?
Certo che esiste, ma preferirei non esprimere giudizi sulla sua qualità, anche perché poi mi sento pure direttamente coinvolto.
Cosa c’è nel futuro di Luca Eri?
Continuare a studiare musica, filosofia, fisica, storia, letteratura e tentare di scrivere roba interessante: non so se Åpøcalisse sia un’opera d’arte, ma è certamente qualcosa di misterioso e interessante.