– di Assunta Urbano.
ph. Simone Cecchetti –
Lucio Leoni, classe ’81, si avvicina alla musica in tenera età ed intrattiene con lei una relazione travagliata nel corso degli anni romani, più un breve periodo statunitense. Nel 2000 la sua passione prende una forma concreta, con la nascita prima della band Yugo In Incognito e poi, in seguito, con gli Scolapasta Vintage e i Meccanica Ferma.
Il percorso da solista, invece, prende il via nel 2011 con lo pseudonimo “Bucho”. Quattro anni dopo l’artista si presenta al pubblico come Lucio Leoni e viene pubblicato il disco Lorem Ipsum per Lapidarie Incisioni. Il buon riscontro dell’album tra pubblico e stampa prosegue anche con il successivo Il Lupo Cattivo, del 2017.
A distanza di circa tre anni esce il terzo capitolo discografico del progetto. Venerdì 8 maggio, infatti, diventa disponibile all’ascolto la parte uno di Dove Sei, la cui seconda metà sarà pubblicata nel periodo autunnale. L’album è stato preannunciato negli scorsi mesi dai brani Mi dai dei soldi, Il fraintendimento di John Cage e Il sorpasso.
LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE DI “DOVE SEI PT.1” di LUCIO LEONI
Nell’attesa – e nella speranza – che le cose tornino ad una sorta di normalità il prima possibile e di poter rivedere Lucio Leoni esibirsi sui palchi italiani più prestigiosi, ci siamo fatti raccontare da lui di questi nuovi otto brani.
Nel periodo complesso che stiamo attraversando, non solo c’è l’ovvio rinvio dei tour, ma molti artisti stanno rimandando anche l’uscita dei propri lavori. Cosa ha significato per te pubblicare questo disco adesso?
Ovviamente ci siamo interrogati tanto riguardo il senso di questa cosa. È un momento talmente strano che sembra anche buffo come si modifica in qualche modo il materiale che hai in mano. Questo disco l’avevo scritto prima della pandemia, è pazzesco, ma sta cambiando senso. Da un lato ha significato anche attraversare questo tipo di esperienza e vedere ora il senso, il valore, di quello che avevo scritto un anno fa. Dall’altra, forse, è stato anche dare dei segnali di vita, per dirla alla Battiato. Non mi piaceva l’idea di fermare, bloccare tutto e di arrendersi. Ci sembrava interessante tirare fuori dei racconti in questo periodo, che possano servire da svago.
Gli otto pezzi che stiamo ascoltando dall’8 maggio sono una metà dell’opera completa, che vedrà la luce nella stagione autunnale. L’album si presenta come una sorta di terzo ed ultimo capitolo di una “trilogia” che ha visto l’inizio con Lorem Ipsum e poi con Il Lupo Cattivo. Che differenza credi ci sia tra questo disco ed i precedenti?
Dell’esistenza di questa “trilogia” mi sono accorto a disco finito. In Lorem Ipsum c’era un tipo di ragionamento sulla comunicazione con l’esterno. Invece, ne Il Lupo Cattivo c’era un passaggio all’interno, con questo bosco metaforico. Dove sei non era di partenza il terzo di una trilogia, ma poi ho scoperto al suo interno una sintesi di quei percorsi che avevo già attraversato. Mi sono ritrovato all’uscita dal bosco, ma con davanti ancora una serie di bivi tra cui scegliere. Questo dal punto di vista contenutistico. Per quanto riguarda la sua struttura, si presenta come un lavoro più completo. Ci ho messo più tempo, più attenzione e mi sono predisposto ancora di più all’ascolto dei musicisti con cui lavoro. In passato era un qualcosa in maggior parte personale, invece in questo caso c’è stato un confronto collettivo dal lato musicale. Mi fa molto piacere che anche tu ci abbia visto questa trilogia.
“Dove sei pt.1” è una domanda di Lucio Leoni senza punto interrogativo e questo lo si nota soprattutto grazie al pezzo in apertura Il Fraintendimento di John Cage. Parliamo di questa scelta strutturale, di queste domande-non domande e di questo brano, che aveva già preannunciato il lavoro.
Come dicevamo prima, riguardo il cambiamento del materiale in corso d’opera, in questo momento stranissimo si sta ribaltando un po’ tutto. Il titolo del disco è nato da questo grande calderone di emozioni che stavo provando ad elaborare durante la scrittura. Questo passaggio all’età adulta, insomma, un po’ come quando a Capodanno sei costretto a fare i conti. Non sempre sono positivi e questa fase non arriva per tutti in contemporanea. C’è chi diventa adulto a sedici anni, chi a sessanta. Metterci un punto interrogativo sarebbe stato un po’ sconfessare il tipo di lavoro che stavo facendo. Altro non è che un contenuto riferito a questo momento preciso della mia vita. Ora sono qui, in un modo o nell’altro. Il punto interrogativo non c’è, ma è sempre sottinteso. Il fraintendimento di John Cage è un po’ il manifesto di tutto ciò di cui stiamo parlando. È l’insieme di tutta una serie di domande, di strade da scegliere e da percorrere. Poi, c’è questo aspetto, più o meno sentimentale, che fa da sfondo ai grandi dubbi. I rapporti emotivi ci fanno un po’ dividere le varie fasi della vita.
Tralasciamo i propositi per il nuovo anno, che sono sempre gli stessi e restano lì fermi a prendere polvere. Parlando più precisamente di questa maturità, ti cito una parte del tuo brano Dedica: “Quanto era bello quando ci dicevano: <<Avete tutta la vita davanti>>”. Il tema della crescita è uno dei principali argomenti trattati in “Dove sei pt.1”. Quanto incide, secondo te, questo “passaggio”, questa età adulta raggiunta, sulla tua musica e, in particolare, su questo disco?
Sul trascorrere del tempo io ho un grosso problema. Tengo molto a quel brano, perché è uno di quelli in cui riesco a raccontare quanto sono aggrovigliato tra passato e futuro, dimenticando sempre il presente, che invece è l’unico reale tra tutti. Musicalmente, la crescita e l’evoluzione sono anche un modo per imparare finalmente a metterti in ascolto e abbandonarti ad una fiducia. Quando fai un disco seguendo il tuo punto di vista e non accogli consigli, critiche e idee sia di chi ti sta accanto, di chi lavora con te, di chi recensisce il tuo lavoro, sia del tuo pubblico e le sue impressioni, ti stai mettendo in difficoltà da solo. La mia crescita musicale c’è stata grazie alla capacità di lasciarmi andare ad una fiducia verso chi mi sta intorno, che prima non avevo.
Invece, Mi dai dei soldi mette un punto temporaneo al disco e vede la presenza di Andrea Cosentino. Sempre con il gioco strutturale delle domande-non domande, come nell’apertura dell’album con Il fraintendimento di John Cage, questa volta il fulcro centrale è l’ambito artistico. In particolare, mi è rimasta impressa la frase “la cultura deve generare sensi di colpa”. Partendo dalla canzone, qual è la tua concezione dell’arte?
Non mi riesce difficile definire la canzone un capolavoro, perché non è mia [ride]. È di Andrea Cosentino, che è un autore gigante della drammaturgia, ha vinto anche il Premio Ubu, e io mi ritengo fortunato di essergli amico. È stato molto carino a prestarmelo. È un’esplosione. Poi, esattamente come dicevi, si parla di cosa significa fare arte e della sua forma stessa. In quel monologo ci ho trovato tutta una serie di interrogativi, di approcci a questo mondo e di critiche, non del tutto velate, che mi porto dietro. Molti si prendono troppo sul serio e dimenticano che si parte sempre da quel verbo to play, che in inglese vuol dire tutto. C’è sempre un gioco sotto. La questione dello scontro-incontro con lo spettatore è molto interessante e delicata. Ci sono una serie di dettagli che credo siano passati in secondo piano negli ultimi anni, mentre prima erano al centro della discussione. Mi sembrava importante riportare nel contemporaneo quel tipo di sguardo. Tutto il resto delle precisazioni sul brano, poi, andrebbero fatte da Andrea Cosentino. Per quanto riguarda la domandona sulla concezione dell’arte, beh, è un po’ quello. Dal punto di vista tecnico, fare domande è la parte centrale. Quello aiuta a sviluppare lo spirito critico, prima di tutto di chi scrive e poi di chi ascolta. Di base non so se c’è una funzione assoluta dell’arte, se non quella di mettersi in discussione continuamente, in caso contrario non c’è evoluzione. Per essere in contatto con il contemporaneo l’arte deve sempre rinnegarsi, trasformarsi e rompersi. Si rischia di fossilizzarsi se non si segue questo processo.
Allo stesso tempo, l’arte può essere concepita come un non accontentarsi delle risposte alle tante domande e mettersi in continua discussione anche con sé stessi.
Certo, sono assolutamente d’accordo. È sacrosanto. Poi c’è tutta la parte dello stare attenti, rimanere un po’ vigili. Chi si occupa di scrittura, in qualsiasi sua forma, ha una responsabilità, perché c’è qualcuno che recepisce. Restare in contatto con ciò che succede intorno e dare una lettura critica di ciò che succede è centrale. È un lavoro serio, non si può dimenticare il grado di responsabilità che ci portiamo dietro. Unito ovviamente alla sua leggerezza. Questo è fuori discussione.
Forse il problema è quanto questo venga preso troppo alla leggera e non si dà il giusto peso al lavoro di matrice artistica.
È vero, eccome se lo è.
Gli otto brani già pubblicati di Dove sei pt.1, in un certo senso, appaiono compatti tra loro. Inevitabile chiederti cosa dobbiamo aspettarci dalle canzoni in uscita tra qualche mese ed il motivo di questa divisione in due parti.
La divisione è nata per non dare fastidio [ride]. Le otto canzoni in questo caso hanno un respiro diverso ed hai modo di tornarci in maniera differente. Sedici pezzi tutti insieme sarebbero stati troppa roba tutta insieme. Poi è un regalo, un ritorno agli anni Novanta con il doppio disco. Una proposta anche divertente. Cosa aspettarsi non saprei dirtelo. So che ci sono delle canzoni molto belle tenute fuori dalle prime otto e che non vedo l’ora di farvi ascoltare. Magari ci saranno anche dei cambiamenti. Abbiamo lavorato ai sedici brani tutti insieme, poi nel frattempo, è arrivata una pandemia mondiale. Non so neanche io cosa aspettarmi da questa seconda parte. È conclusa, ma non è detto che qualcosa verrà modificato.
Con l’estate in mezzo potrebbe succedere qualsiasi cosa, speriamo in positivo.
Speriamo basta! [ride]
Ci lasciamo con un’ultima domanda. Come dicevamo, il titolo non ha un punto interrogativo, ma non si può fare a meno di chiederti: Lucio Leoni, “dove sei”? E, a prescindere da questi mesi tristi, sei dove vorresti essere?
Wow. Diciamo che trovarsi dove si vuole essere significa ammettere di essere felici. Io non so se posso ammetterlo in questo momento. Quindi, no, non credo di essere dove vorrei essere, ma non credo di essere neanche così lontano.