Da un lato la sua storia e i suoi brani più importanti. Per lui innanzitutto. Poi la sperimentazione, la ricerca, la nuova faccia con cui inciderli su disco. E dare nuova faccia, cioè un suono nuovo, significa anche ritrovare se stessi, nei modi di pensare e di vivere una canzone anche. Tutto questo significa “Prova Zero”, il nuovo disco di Roberto Sarno. Liquido e sincero, minimalista con le sole mani sue e di Marco Mafucci oltre ad un’isolata incursione di Alberto Nepi per il pianoforte sul primo singolo estratto “Il tempo che brucia sull’asfalto” e su “Luna”. Il suono sposa l’elettronica ma non per farsi corposo quanto più per rendersi spirituale. Dai suoni acustici non arriva dissonanza o meraviglia, non arriva disequilibrio ma soltanto verità. Da un brano come “Fragole” arrivano quel post rock urbano che forse ci ricorda le radici di una provincia industriale anni ’90 – e non a caso forse Sarno si ritrova nel DNA di un artista come Motta che omaggia con la sua versione di “Abbiamo vinto un’altra guerra”. Dalle trasgressioni di arrangiamento e di suono di brani come “Il silenzio intorno” percepisco legami a quel folk antico che però guarda oltre, come fossero le psichedeliche alterazioni di Bon Iver. Ecco: è sperimentazione folk d’autore questo nuovo disco di Roberto Sarno.
“Prova zero” in qualche modo è una sorta di tuo personalissimo “best of” o sbaglio? Possiamo definirlo così?
Nel periodo che corrisponde agli ultimi dieci anni, da quando ho rotto il lungo silenzio e ho ripreso a fare musica, ho pubblicato tre dischi. Oggi “Prova Zero” da un lato raccoglie alcune tra le cose alle quali sono maggiormente affezionato e dall’altro rappresenta la sperimentazione, la ricerca di un mood personale e possibilmente nuovo di dare forma alla mia musica.
Nuova forma alle canzoni. Che cosa ha significato per te questa metamorfosi?
Credo che ogni artista sia condizionato dalle proprie passioni e che non sia affatto facile trovare un indirizzo personale senza imitare i propri riferimenti. Questo disco per me ha rappresentato proprio lo sforzo di mollare tutto il bagaglio musicale acquisito, di lasciare spazio all’istinto primordiale che mi ispira quando scrivo. Non rinnego il passato, ogni esperienza è funzionale alla maturità, tuttavia sono contento di avere avuto questa intuizione e naturalmente ringrazio Marco Mafucci che ha lavorato con me in questa ricerca.
Una direzione più intima di questi brani significa anche un “andare incontro” alle nuove esigenze del tempo che viviamo?
Credo che ogni tempo abbia anche la propria versione intima; da ragazzo ero molto condizionato sia dalle note più aggressive ad esempio dei Clash, che dalle visioni più intime come quelle di David Sylvian. Probabilmente questo stile che oggi ho adottato è frutto di un’attitudine che mi porto dentro da sempre, dalla maturità che ho raggiunto e dal loro contrasto con il contesto in cui viviamo.
E parlando di questo tempo che viviamo… perché non stamparlo in vinile?
Qualche anno fa ho dovuto fare i conti con lo spazio di casa e un bel giorno ho venduto in stock tutta la mia collezione di dischi in vinile trasformandola istantaneamente in una parete di CD.
Per quanto abbia dei bellissimi ricordi di quei dischi e dei momenti passati con loro, oltre ad essere consapevole dell’interesse che attualmente sta suscitando il vinile, non ho ancora ritrovato lo spirito giusto per intraprendere una nuova storia con quel formato. Ma naturalmente non lo escludo per il futuro.
Il suono indie, in bilico tra il rock dannato e l’uso spietato dell’elettronica. Come ti ci vedi dentro? Come hai modellato tutto questo per il tuo lavoro?
È un mare di suono, un’immensità di soluzioni acustiche che possono intrecciarsi e lasciarsi penetrare dalle idee.
Le distorsioni sonore mi appartengono, sia quelle più asciutte e vintage che quelle più moderne, grasse e composte. L’elettronica, sia analogica che digitale, amplifica gli spazi a questi orizzonti sonori, ne accresce le possibilità all’ennesima potenza.
La ricerca del mood ha navigato proprio all’interno di questo universo. Dal mio punto vista la coerenza espressiva alla fine nasce grazie al carattere e alla personalità.
Motta. Un omaggio alla sua canzone d’autore con questa tua versione di “Abbiamo vinto un’altra guerra”. Devo dire che la tua voce cade con molto agio in questa melodia. Più lenta forse… e cos’altro hai voluto cambiare per renderla una canzone di Roberto Sarno?
La modifica più drastica che ho fatto è stato di segare alcune parole che per il mio modo di cantare non rientravano comodamente nella metrica. Il resto, una volta identificato il filo conduttore sonoro del disco, è venuto d’istinto. Forse anche per questa semplicità di adattamento ho pensato d’inserire il pezzo nell’album.